28 giugno 2006

Euston, we have liftoff


È una scommessa un po' azzardata, magari, ma con un gruppo di matti abbiamo deciso che si poteva (forse) provare a replicare ed adattare l'esperienza dello Euston Manifesto inglese alla realtà italiana. Pensiamo che probabilmente alla politica italiana potrebbe non fare male una forza, anche piccola, ma ricca di idee e di ideali, che si aggrega dal basso, dalla sempre citata ma alla fine mai ascoltata società civile. Oh, insomma, il sito è lì, date un'occhiata, lasciate un commento, aderite se vi sembra il caso, fateci sapere quanto era giustificato (o no) il nostro ottimismo.

27 giugno 2006

Svendita


Da Harry's Place, una vignetta pubblicata su The Age, un giornale australiano. Nessun bisogno di commenti.



26 giugno 2006

Andiamo avanti


Dopo la vittoria del No al referendum, Bossi promette: ¨Si va avanti comunque¨

Binario 10


Una risposta di Norman Geras ai commenti di Daniel Finkelstein sul Times, a proposito dello Euston Manifesto, e del tentativo di salvare la sinistra da sè stessa



Scrivendo su questo giornale [ tre ] settimane fa, Daniel Finkelstein ha espresso sullo Euston Manifesto - un documento che invoca un nuovo allineamento politico progressista e nella cui stesura ho giocato un ruolo non indifferente - un'opinione ambivalente. "Davvero ottimo", ha detto. "concordo con le idee di base; lo trovo ben scritto ed attuale." Allo stesso tempo però l'ha definito "un gigantesco spreco di tempo ed energia". Come mai? Perché, anche se lancia una sfida ad idee largamente accettate a sinistra, lo scopo di coloro che lo hanno prodotto è di "salvare la sinistra da sè stessa", e non ne vale la pena.

Ci sono due diverse risposte possibili a questa posizione. La prima è che anche per chi non considera la sinistra come il posto migliore dove porsi politicamente, una sinistra più sana è certamente da preferirsi.

Finkelstein pensa che ¨le chiare affermazioni di principii¨ del manifesto "siano sprecate se rivolte a gente che non le condivide e mai lo farà"; ma in politica non si può mai sapere chi concorderà con ciò che si sta per dire fino a che non lo si sia detto, e ci sono già segnali che ciò che abbiamo detto nel manifesto - tener duro sui principii democratici e sui diritti universali dell'uomo, non cercare scuse per il terrorismo o la tirannia, opporsi all'antiamericanismo, non svilire la tradizione liberale della libertà di pensiero - sia stato accolto favorevolmente da una parte della sinistra liberale. Quanta strada riuscirà a fare rimane da vedere, naturalmente, ma tranne che per ristretti gruppi di faziosi, è generalmente meglio per il bene della discussione politica che quelli "dall'altra parte" siano legati ai principii migliori possibili piuttosto che ai peggiori.

In secondo luogo, per quelli di noi che non hanno ancora rinunciato a difendere la causa della sinistra, c'è ancora più ragione per non desiderare di vedere i valori dell'universalismo e della democrazia svuotati di ogni importanza: vediamo questi valori come legati alle idee che sono sempre state al centro delle lotte della sinistra, e non ci sentiamo di poter contare su nessun altro per difenderli.

Finkelstein scrive che "lo sforzo di persuadere la sinistra è anch'esso sprecato": se lo Euston Manifesto fosse stato pubblicato da esponenti di destra, il sostegno a destra sarebbe stato pressochè totale; ma questo non è vero per alcune delle posizioni del Manifesto - ad esempio, il suo abbracciare i principii egualitari e il suo sostegno ai sindacati in quanto "fondamenta della difesa degli interessi dei lavoratori" e la sua difesa (nelle parole di Shalom Lappin) "dell'integrità del bene pubblico contro l'assalto delle privatizzazioni e dell'espropriazione che è derivato dall'adesione dogmatica alle idee neoliberiste". Alcune voci conservatrici, nell'accogliere favorevolmente il manifesto, hanno espresse chiare riserve su questi punti.

Eppure, Finkelstein ha ragione sulla gente di sinistra "che non concorda e mai lo farà". Per ogni simpatizzante di sinistra che ha risposto positivamente al manifesto ce n'è stato almeno uno ostile. La cosa interessante di questa reazione sono i temi di cui si compone. Nella misura in cui il manifesto dice qualche cosa di condivisibile (dicono i critici), lo fa nei termini di banalita' benintenzionate; e le nostre critiche di altre parti della sinistra si applicano solo ad un piccolo numero di estremisti. Eppure, il manifesto si è immediatamente attirato addosso un'ostilità da parte di molti che si potrebbe definire robusta. Perchè? Il documento non nomina nessuno in particolare nell'identificare alcuni discutibili schemi ricorrenti nelle discussioni, nell'evasivita' su certe questioni e nelle apologie: chi non vi si identifica non ha ragione di protestare. Viene da suggerire che almeno uno dei motivi per questa animosità sia che ad identificarsi nelle critiche sia un'area della sinistra ben più vasta del solo Socialist Workers Party.

Se così non fosse, perchè è diventato comune sentire esponenti della sinistra criticare i principii universali dei diritti dell'uomo come "arroganti", "imperialisti" o (sottovoce, mi raccomando) "islamofobici"? La fedeltà a questi principii - alla democrazia, alla libertà, all'uguaglianza - era un tempo un minimo comune denominatore a sinistra, ma nelle pagine di opinioni e commenti della stampa liberale è diventato routine leggere i pezzi di giornalisti ed altri intellettuali di area (si suppone) progressista che ci spiegano che la democrazia, o il liberalismo, o i valori dell'Illuminismo, tutti forse adatti all'Occidente, potrebbero non esserlo in altri contesti culturali. Il diritto alla libertà di espressione - completa libertà, fatta salva solo l'istigazione all'odio o alla violenza - è anch'esso messo frequentemente in discussione di fronte a sensibilità religiose sempre più rumorose nel denunciare le offese.

Borbottii genericamente ¨comprensivi¨ nei confronti di atrocità terroristiche - a Londra o Madrid, ma particolarmente a Tel Aviv ed Haifa - che avrebbero radice nella povertà, nell'oppressione e nell'ingiustizia sono ugualmente comuni, sebbene poi queste voci borbottanti siano incapaci di spiegare perchè in passato i movimenti che combattevano queste ingiustizie non abbiano fatto ricorso a stragi indiscriminate di civili; noti opinionisti - gente matura, veterani della sinistra - si destreggiano nell'appoggiare la cosiddetta resistenza irachena malgrado i suoi metodi da stragisti, o fanno confronti arbitrari e faciloni fra gli Stati Uniti di George Bush e la Germania nazista. Che simili temi siano discussi nei media da esponenti della sinistra liberale è pubblicamente verificabile: è stato documentato e criticato ripetutamente, e presumibilmente i giornali che pubblicavano commenti di questo genere non l'avrebbero fatto se quei commento non avessero incontrato il favore dei loro lettori.

Il manifesto di Euston è una risposta a queste tendenze politiche, e come tale è ben mirato: ecco perchè ha destato tanto interesse, e tanta ostilità. Siamo felici di ribadire alcune importanti, anche se ovvie, verità, e di mostrare che non abbiamo perso ogni speranza nel futuro della sinistra.

24 giugno 2006

Bike Week


Ieri era l´ultimo giorno lavorativo della Bike Week, un´iniziativa nazionale per incoraggiare l´uso della bicicletta in città. La maggior parte delle associazioni di ciclisti e delle amministrazioni comunali in UK organizzano, finanziano o sponsorizzano eventi - alcuni sono ormai tradizionali, come il Bike2Work di Camden, tutti i pendolari che vanno al lavoro a Camden hanno diritto per una settimana ad una colazione all´inglese gratis, preparata dai volontari; per tutta la settimana, il governo rimborsa a tutti i datori di lavoro, attraverso sconti sulle imposte, una serie di spese che possono scegliere di sostenere per incoraggiare i dipendenti a venire al lavoro in bicicletta (di nuovo, colazione gratis, parcheggi protetti per le biciclette, kit sponsorizzati, tipo magliette col logo della ditta e roba così); si organizzano feste in praticamente tutti i parchi e giardini pubblici, eccetera.


Ieri sera la sezione di Islington della London Cycling Campaign ha organizzato un punto di ristoro proprio davanti alla moschea di Finsbury Park. Quel pezzetto di strada è uno snodo importante, ci passano praticamente tutti i ciclisti che lavorano nella City e vivono a nord-ovest, e i volontari fermavano tutti offrendo succhi di frutta, frutta, snack e regalando mappe di Londra con l´indicazione dei percorsi ciclabili e bottiglie per l´acqua col logo del comune di Islington.



Ken Livingstone ha fatto più d´una cazzata come sindaco di Londra, ma devo dire che l´incoraggiamento che ha dato all´uso delle biciclette in questa città è stato assolutamente grandioso, i ciclisti sono più che raddoppiati da quando vivo a Londra, e ieri sera c´era un flusso continuo di gente che si fermava, beveva succo di frutta e raccontava di altre iniziative interessanti. Ottimo lavoro, davvero.

23 giugno 2006

Binario 9


Una risposta di Norman Geras alle critiche ad uno dei passi piu' attaccati dell'intero Euston Manifesto, quello in cui si menziona Amnesty International ed Abu Ghraib


In questo post intendo occuparmi delle obiezioni allo Euston Manifesto presentate al paragrafo della sezione C in cui critichiamo due dichiarazioni di Amnesty International:

La violazione dei diritti umani fondamentali ad Abu Ghraib, a Guantanamo e nel corso delle pratiche di rendition deve essere recisamente condannata per quello che e`, la violazione e l'abbandono di quei principi universali per la cui creazione gli stessi Paesi occidentali, e in particolare gli USA, portano la maggior parte del merito. Ma noi respingiamo il doppio standard con cui molti oggi a sinistra identificano quelle commesse dalle democrazie occidentali come le peggiori violazioni dei diritti umani, mentre mantengono il silenzio, o protestano in sordina, contro violazioni ben peggiori commesse altrove. Questa tendenza ha raggiunto un punto tale che un portavoce ufficiale per Amnesty International, un'organizzazione che merita e riceve enorme rispetto a livelo mondiale per i decenni di lavoro svolto in difesa dei diritti umani, puo` fare pubblicamente un paragone fra Guantanamo e i gulag, puo` affermare che le misure legislative prese dagli USA e dalle altre democrazie liberali nel corso della guerra al terrorismo costituiscono un'aggressione ai diritti umani peggiore di qualsiasi cosa si sia vista negli ultimi 50 anni, e puo` essere difeso in queste affermazioni da voci della sinistra liberale.

Non perché la critica sia particolarmente stringente - non c'e' modo di porla in maniera stringente, in realta' - ma perche' cio' che dice e' rappresentativo di gran parte dei commenti negativi che il paragrafo si e' attirato, rispondero' alla versione di Randy Paul di quasta critica. Dice:

In primo luogo, sembrano essere piu' interessati all'abuso della metafora da parte di Amnesty piuttosto che agli abusi di Abu Ghraib.

Questa critica si compone di due parti distinte.

(a) Paul parla della ormai famosa dichiarazione di Irene Khan, che definisce Guantanamo 'il gulag [dei] nostri tempi', come dell'abuso di una metafora. Lo era, ma era anche una forma retorica di esagerazione estrema, giustificata da Khan e da altri portavoce di Amnesty come un modo per catturare l'attenzione del pubblico. Una cosa simile sarebbe degna di un dipartimento governativo di propaganda politica, ma sicuramente non della reputazione che Amnesty si e' guadagnata meritatamente per l'accuratezza e precisione delle sue denunce, se non altro perche' sminuisce la portata colossale dell'orrore e della sofferenza che il vero Gulag ha prodotto. (si veda 1, 2 e 3 per una discussione piu' dettagliata che ho condotto a suo tempo)

(b) Forse perché non e' in grado di produrre una difesa covincente della dichiarazione di Khan, Paul aggiunge la seconda parte, che è peggio che semplicemente poco convincente: suggerisce che i sostenitori del Manifesto siano piu' interessati all'abuso di una metafora che ai crimini commessi dal personale militare USA ad Abu Ghraib. Questa e' un'accusa grave, visto che, ovviamente, preoccuparsi di piu' per l'abuso di una metafora che per gli abusi e le torture su esseri umani si dovrebbe aver perso ogni riferimento morale, per dirla ancora gentilmente: ci si dovrebbe quindi aspettare che Randy Paul presenti delle solide prove a sostegno della sua accusa. Quello che e' in grado di presentare, invece, è il verbo 'sembrare': gli Eustonian 'sembrano essere interessati', dice, piu' ad una cosa che all'altra. In altre parole, l'accusa e' frutto di poco piu' che un capriccio. Forse pensa che criticando un paio di dichiarazioni di funzionari di Amnesty operiamo una scelta di campo contro il loro operato ? ma sono certo che non riuscira' a provare una simile accusa: i sostenitori dell'associazione (come me, da cosi' a lungo che non saprei dire esattamente quanto) possono benissimo desiderare che questa si attenga ai propri elevatissimi standard quando quando sembra cadere nella sbilanciata retorica politica che e' adesso di moda presso parti della sinistra.

Paul prosegue:

Cio' che trovo decisamente offensivo e' questo commento:

La violazione dei diritti umani fondamentali ad Abu Ghraib, a Guantanamo e nel corso delle pratiche di rendition deve essere recisamente condannata per quello che e`, la violazione e l'abbandono di quei principi universali [...]

Ma per favore: quando si dice gli eufemismi. Non è "un abbandono di principi universali", e' un crimine contro l'umanita'...

Anche questa critica sembra niente piu' che frutto di un capriccio, un tentativo di basarla sul nulla. Si', la violazione e' un crimine contro l'umanita'; ed essendolo, e' anche un abbandono dei principi universali che definiscono questo genere di crimine. Se gli autori del Manifesto avessero detto che era una cosa ma non l'altra, Paul avrebbe avuto di meglio che un capriccio su cui basare l'accusa, ma cosi non e', e non gli rimangono migliori argomenti che accusarci di usare un eufemismo; finche' non intende portare alcunche' a sostegno della sua interpretazione, non fara' molto piu' che dare l'impressione di cantarsela e suonarsela da solo.

E' di pubblico dominio che lo Euston manifesto e' stato prodotto da un gruppo che conta, tra gli altri, determinati blogger britannici. Volete sapere cosa abbiamo pensato e pensiamo di Abu Ghraib in relazione ai crimini contro l'umanità? O sulla tortura? Potete dare un'occhiata:

Il punto non e' se gli abusi [ad Abu Ghraib] fossero o meno, in natura o scala, paragonabili ai crimini del regime di Saddam Hussein. La pratica della tortura, in se' e' per se', e' un male assoluto ed ingiustificabile; e' un abominio. Per tanto, la proibizione di tortura dovrebbe essere un imperativo morale assoluto in in ogni entita' nazionale civilizzata, come col tempo lo e' diventata nelle leggi della comunita' internazionale. Assieme alla proibizione di altri crimini estremi contro l'umanita' ? ad esempio il genocidio - la proibizione della tortura rientra nella dottrina dello jus cogens: e' una norma categorica che vincola ogni Stato e dalla quale nessuno puo' chiamarsi fuori; protegge un diritto la cui deroga non e' ammessa nemmeno in guerra o in condizioni di emergenza nazionale. La proibizione della tortura non è un limite morale e legale del genere che e' ammissibile trasgredire a patto che la trasgressione non sia troppo 'estrema'.

E potete dare un'occhiata. E potete dare un'occhiata. Si', perche' non date un'occhiata?

Oppure potreste continuare a suonarvela e a cantarvela da soli. Non e' pero' una critica intellettualmente o moralmente seria, e' semplice animosita' senza un fondamento; e ben rappresenta il tipo di commenti negativi che quel paragrafo nello Euston Manifesto ha attratto.


22 giugno 2006

Ce l'hanno tutti con lui


A proposito di attacchi ad personam, di cui parlavo qualche post fa, Ipazia fa notare che uno puo' essere un grande linguista e al contempo anche un gran razzista ed una persona spregevole. E' utile ricordarlo ogni tanto.

21 giugno 2006

Binario 8


Una risposta di Eve Garrard alla critica di Natasha Walter allo Euston Manifesto



Nel suo articolo sullo Euston Manifesto, Natasha Walter solleva alcune obiezioni interessanti sia al manifesto stesso sia al gruppo da cui ha avuto origine. A suscitare interesse non sono tanto i contenuti (in buona parte derivanti da un errore circa la natura del documento) quanto il modo in cui li esprime, e l'uso che ne fa.

La Walter esprime due critiche principali al manifesto. La prima e meno incisiva e' che ci sono troppo poche donne fra gli estensori. E' vero che ci sono considerevolmente piu' uomini che donne fra noi, ma la Walter stessa risponde alla propria obiezione quando riconosce che sarebbe sciocco aspettarsi che un neonato schieramento politico si costituisca in base ad un sistema di quote prima ancora di definire le proprie posizioni, e questo e' sicuramente vero, dal momento che simili schieramenti devono inizialmente auto-selezionarsi o non nascerebbero neanche. Gli Eustonians accoglierebbero con grande favore altre donne che vogliano essere coinvolte nel progetto, e speriamo che ce ne siano molte; ma a meno di accettare firmatari solo da liste predefinite di sole donne, il modo migliore per coinvolgere altre donne e' uguale a quello per coinvolgere piu' gente in generale - presentare le nostre idee nella maniera piu' convincente possibile e fare si' che altri ci notino e lavorino con noi.

La seconda e piu' articolata obiezione della Walter e' che il Manifesto manca di perorare la causa femminista. La Walter pensa (a) che il documento non si interessi alla sotto-rappresentazione delle donne nelle posizioni di potere nel Regno Unito o alla loro sovra-rappresentazione nei lavori sottopagati; inoltre pensa (b) che non denunci con sufficiente forza l'apatia dell'Occidente che non aiuta o protegge le donne a rischio di violenza o peggio nei propri Paesi. La prima parte dei questa obiezione deriva da un errore circa la natura dello Euston Manifesto. La Walter ignora cio' che il Manifesto dice esplicitamente: che si tratta di una dichiarazione di principii generali piuttosto che una presentazione di linee politiche specifiche (vedi sezione A, paragrafo 3). Chiede il riconoscimento dei diritti umani (sezioni B3 e B4); nulla dice sulle violazioni di questi diritti in Cina, per esempio, o nello Zimbabwe. Cio' non dimostra una mancanza di preoccupazione per le violazioni dei diritti in questi specifici Paesi; indica solo che il documento si pone ed intende operare ad un livello più generale. Lo stesso vale per per il nostro interessamento alla giustizia per le donne. L'uguaglianza di genere e', in verita', precisamente uno dei valori fondamentali della sinistra liberale, che desideriamo proteggere dalle recenti tendenze anti-illuministe e dai tentativi di strizzare l'occhio al fondamentalismo - qualcosa che il Manifesto rifiuta esplicitamente (sezioni B4 e B15; sezione C, paragrafo 1). Una critica che obietta all'omissione di politiche specifiche sui diritti delle donne, in un documento che non intende presentare linee-guida dettagliate, è una critica che sembra concentrata sul cercare il pelo nell'uovo.

Quanto a (b), le preoccupazioni della Walter sono qualcosa su cui tutti gli Eustonian concordano decisamente. Fin troppo giusto, potremmo dire - noi siamo decisamente d'accordo con un'azione forte dell'Occidente contro gli abusi sui diritti umani, compresi quelli commessi contro le donne (sezione B10, sezione C, passim). Come può la Walter non aver notato quanto questo sia centrale all'intero documento? Le specifiche manchevolezze da parte del governo britannico su questo punto [la difesa dei diritti delle donne all'estero, NdT] devono essere giudicate individualmente, naturalmente, ma questo genere di discussione caso per caso è ancora troppo specifico per un manifesto generale. Tuttavia, il fatto stesso che la Walter trovi plausibili tali critiche al governo suggerisce che alle donne succedono cose peggiori nelle culture che praticano mutilazioni genitali e delitti d'onore che il non riuscire ad ottenere parità salariale o pari rappresentazione ai vertici dei Tories.

La Walter ha ragione a dire che molti appartenenti alla sinistra liberale sono diventati disattenti sul femminismo, ed ha ragione a citare l'orrore dei delitti d'onore in questo contesto; ma sebbene le disparita' salariali fra uomini e donne in questo paese siano spesso estremamente ingiuste e dovrebbero essere riconosciute e combattute come tali, questa ingiustizia non viene in alcun modo minimizzata dal riconoscere che l'oppressione delle donne che risulta nei delitti d'onore e' molto piu' grave. E' certamente vitale fare la propria parte contro le violazioni dei diritti delle donne che avvengono in casa nostra, ma l'attenzione esclusiva ai problemi dell'Occidente e' un esempio di quel doppio standard che rappresenta uno dei mali individuati dal Manifesto (sezione B3, sezione C, paragrafi 6 e 8). L'effetto, in questo come in altri casi, e' di produrre un curioso appiattimento del panorama morale, per cui i delitti d'onore, i salari piu' bassi per le donne in UK, la mutilazione genitale e lo scarso numero di donne nella dirigenza della pubblica amministrazione sono tutti da trattare come casi allo stesso livello di gravita', occasione per un'identica indignazione. La conseguenza di cio' e' che ci ritroviamo abbastanza lavoro da fare sui diritti delle donne a casa nostra, e non e' il caso di metterci a considerare i problemi di altre culture ed entita' politiche a questo riguardo - ma questo significa semplicemente abbandonare la causa delle donne fuori dai nostri confini. Mi sembra improbabile che la Walter realmente sottoscriva quest'idea, ma forse deve fingere di farlo, per poter delimitare la sua critica circa i diritti delle donne entro dove realmente intende puntarla, vale a dire qui nel Regno Unito e sui firmatari del manifesto.

Che ci sia un elemento che suona falso nella valutazione femminista del Manifesto da parte della Walter e' denunciato dal suo silenzio sulla negligenza sui diritti delle donne che contraddistingue altri gruppi ed individui quali Respect, Hizb-ut-Tahrir e l'amico di Ken Livingstone, lo sceicco Al-Qaradawi. (Questo è stato veementemente denunciato da altri membri del gruppo dello Euston Manifesto nelle osservazioni al pezzo della Walter sul sito di Comment is Free). Si', ha ragione a lamentare una certa sonnolenza sul femminismo da parte della sinistra liberale; purtroppo lei stessa dimostra una sonnolenza degna di nota soprattutto per la sua selettivita'. E' difficile evitare l'impressione che si concentri su una presunta negligenza sui diritti delle donne nello Euston Manifesto solo per usarla come arma contro un gruppo politico a cui si oppone per altri motivi che evita di rivelare. Sarebbe stato meglio e piu' costruttivo se avesse discusso la ragione reale del suo disaccordo con il Manifesto, qualunque essa sia, piuttosto che concentrarsi su un'inesistente omissione dei diritti delle donne.

Una parte essenziale dell'intera proposta politica degli Eustonian e' proprio il prendere molto sul serio gli orrori perpetrati contro le donne (e non solo); ma dovremmo farlo con un po' meno compiaciuta inazione, meno ipocriti sensi di colpa sulle mancanze occidentali, e con qualcosa di un po' piu' produttivo di articoli indulgenti su Hizb-ut-Tahrir.

Per concludere, un elemento secondario ma rivelatore che vale la pena di notare dell'articolo della Walter è il tono ostentatamente condiscendente - 'non ho saputo reprimere un sorriso', 'mi sono detta che non devo prenderli in giro', 'ho pensato che dopotutto hanno il cuore che batte al posto giusto'. E' un peccato - il nostro tempo sarebbe speso molto meglio a cercare la verita' sulle questioni importanti piuttosto che in giochetti di tattica verbale. (Eve Garrard)


20 giugno 2006

Tifo


Alla faccia di Beppe Grillo, il mio gatto ha deciso per chi fare il tifo:


Documentari


Si chiama Screw Loose Change, ed e' lo stesso documentario reso famoso in Italia da Giulietto Chiesa e Matrix, ma con l'aggiunta di sottotitoli (in inglese, purtroppo) che smentiscono punto per punto le affermazioni dei documentaristi, tipo gli sbuffi durante il crollo delle TT che sarebbero esplosioni, la famosa faccenda del motore Rolls Royce nel Pentagono eccetera. Val la pena di vederlo - sempre, purtroppo, per chi parla inglese.

Chi mi dovesse lasciare commenti qui sotto del tipo "ah, ma allora spiega come ha fatto l'aereo a non risentire dell'effetto suolo", "ah, ma allora spiega come ha fatto un aereo con apertura alare di 40 metri a fare un buco cosi' piccolo" eccetera, sappia da prima che verra' ignorato. Ognuno di noi viene al mondo con una quantita' finita di pazienza, ed io ho finito la mia nel '97. I boccaloni di questo mondo sembrano tutti animati dal convincimento che sia lecito riproporre le stesse stronzate ogni due settimane ed aspettarsi che vengano confutate ogni volta, pena la "dimostrazione" che "c'e' qualcosa sotto". Non funziona cosi'. La storia del buco, per dire, e' stata sfatata circa 10 minuti dopo che e' apparsa, e se tu, o caro lettore occasionale che googlava "Loose Change" alla ricerca di ulteriori conferme del Verbo del Profeta Giulietto Chiesa (sia lode a Lui), non lo sai, non son cazzi che mi riguardino: la tua ignoranza non costituisce prova.

Anniversari


Fra circa un paio di settimane sara' un anno esatto dagli attentati del 7 Luglio a Londra. In corrispondenza della ricorrenza, ad Alexandra Palace si terra' l'Islam Expo - ospiti, fra gli altri, Sir Iqbal Sacranie ("Salman Rushdie? La morte e' troppo poco per uno come lui"), Muhammad Abdul Bari ("E' arrivato il momento che i musulmani britannici comincino a farsi giustizia da soli") e Yvonne Ridley, dirigente dell'Islam Channel.

Yvonne Ridley, quella che si e' convertita all'Islam dopo che i Talebani l'hanno rapita e ha scoperto che erano proprio dei bei ragazzi (ahem), quella che dice che "c'e' qualcosa di ripugnante in quelli che si affrettano a denunciare gli atti di terrorismo", che "preferirei di molto la compagnia di un fratello come Al-Zarkawi piuttosto che un padre o un parente traditore [i.e. che si oppone al terrorismo]". Quella che le bombe ad Amman erano giustificate perche' nei bar di quegli alberghi si serviva alcool. Senza dubbio, la persona ideale per un simile anniversario.

Per citare un altro ineffabile, Oliviero Diliberto, saranno pure questi dei cretini pagati da Calderoli? Ma dove li trova, Calderoli, tutti 'sti soldi?

19 giugno 2006

Sto invecchiando?


E soprattutto, sto perdendo il mio senso dell'umorismo? (insomma, per quel poco che ne avevo...)

Faccio appello ad entrambi i miei lettori: ma a voi, questa cosa qui fa ridere? E' satira? E' di sinistra?

Magari non l'ho capito io...

E Dio creo' le grandi balene


L'International Whaling Commission ha appena votato, 33 a 32, una risoluzione che annulla la moratoria, firmata nel 1986, sulla caccia alle balene. La risoluzione, proposta dalla delegazione giapponese, identifica nelle balene (e non nella pesca intensiva praticata dal Giappone, per esempio) la causa del crollo delle risorse ittiche ed auspica una ripresa della caccia alle balene per ristabilire l'equilibrio.

Per fortuna la moratoria deve essere respinta con il 75% dei voti, e quindi una maggioranza di 33 a 32 e' solo una vittoria simbolica per il Giappone; ma la delegazione giapponese fa bene a cantar vittoria, perche' la vittoria di oggi mostra la strada per il futuro.

Nel 1986, Giappone, Norvegia e Islanda erano praticamente gli unici Paesi favorevoli a proseguire la caccia alle balene; a tutti gli effetti, lo sono ancora. Da dove viene, dunque, quella maggioranza di 33 Paesi?

Viene dal fatto che negli ultimi 20 anni c'e' stato un costante afflusso di nuovi membri nell'IWC. In generale Paesi molto poveri, come Tuvalu, Kiribati e Nauru, a volte dipendenti dalla pesca, a volte no, a volte addirittura senza sbocco sul mare, come il Mali e la Mongolia. Tutti Paesi a cui il Giappone ha promesso aiuti sproporzionati alle loro necessita', un milione di dollari a Tuvalu, una cifra parecchio superiore al suo PIL, circa altrettanti a Kiribati, concessioni economiche e commerciali non meglio definite alla Mongolia, tanto per citare qualcuno, inviti ufficiali a visitare Tokio, per i capi di Stato di una ventina di nazioni centroamericane e caraibiche e le loro famiglie, amici e conoscenti, tutto spesato. 21 Paesi sono entrati a far parte della IWC negli ultimi 10 anni, tutti poverissimi, molti senza alcun legame o interesse pro o contro la caccia alle balene, e tutti hanno votato col Giappone qualunque cosa proponesse in commissione.

Il problema in questi casi e' lo stesso che si e' presentato un paio d'anni fa con l'Islanda: un boicottaggio a tappeto non funziona. In Islanda, ad essere colpita dal boicottaggio e' stata essenzialmente l'industria del turismo, ossia il settore che maggiormente si e' opposto alla caccia alle balene - e questo non ha fatto che fornire ulteriori argomenti alla fazione pro-caccia.

In Giappone, il 13% della popolazione mangia carne di balena. Colpire con un boicottaggio l'economia giapponese significa colpire intere fasce della popolazione che probabilmente non c'entrano nulla con la caccia. Greenpeace presenta invece una proposta interessante di boicottaggio mirato in questo articolo, forte dell'esperienza dello scorso anno.

Cerchero' di postare altre informazioni appena riesco a trovarle.

Binario 7


Sono stato un po' dubbioso se tradurre e pubblicare o meno questa precisazione sullo Euston Manifesto. Le frasi che Norman Geras trova sbagliate nel testo originale sono state rese con una formula leggermente piu' blanda in italiano (almeno nella mia traduzione); ciononostante, il rischio di malintesi rimane



C'e' un passaggio nello Euston Manifesto il cui senso e' stato frainteso, e la responsabilita' del malinteso e' interamente degli estensori e di chi ha letto ed approvato la bozza. Il passaggio non e' ben formulato. E' questo:

Siamo anche uniti nell'opinione che dal giorno della caduta di Saddam, la priorita` per ogni liberale e appartenente alla sinistra avrebbe dovuto essere la battaglia per porre in essere in Iraq un sistema politico democratico e per favorire la ricostruzione delle infrastrutture, per creare, dopo decenni di oppressione brutale, una situazione quotidiana che chi vive nei Paesi occidentali da` per scontata, piuttosto che insistere all'infinito sull'opportunita` o meno di intervenire.

Il problema qui e' 'piuttosto che'; e 'insistere all'infinito' non aiuta: il risultato d'insieme e' decisamente infelice. L'intenzione era di dire che, avvenuta l'invasione e rovesciato il regime, l'obiettivo primario della sinistra e delle altre forze democratiche avrebbe dovuto essere la solidarieta' con il popolo iracheno e con le forze democratiche che cercano di ricostruire il paese sulle nuove basi di democrazia e liberta'. Gli autori del manifesto pensavano, noi pensiamo, che il futuro dell'Iraq ed il destino del popolo iracheno dovrebbero essere una preoccupazione maggiore, per la sinistra ed i liberali, che ribadire continuamente i motivi per cui la guerra non avrebbe mai dovuto essere combattuta. L'impressione che si ha leggendo il passaggio, tuttavia, e' che affermiamo che le critiche e le discussioni iniziali sulla guerra, i dubbi sulle motivazioni cosi' come sono state presentate dai governi degli Stati Uniti e britannico, o sulla pianificazione del dopo-Saddam, fossero ingiuste o inappropriate. E questo non e' vero. Il punto è stato inizialmente sollevato da Martin Bright in una delle critiche iniziali al manifesto, sul sito Web del New Statesman, quando ha scritto:

Il manifesto suggerisce che dovremmo smettere di discutere i perche' e i percome della guerra e concentrarci sulla necessita' di costruire un consenso a sinistra sulla ricostruzione.

E prosegue dissentendo. Ha ragione: ha ragione su quello su cui gli Eustonians pensano che un consenso di sinistra dovrebbe 'concentrarsi' ora che il regime di Saddam e' stato abbattuto; ed ha anche ragione - purtroppo ? sul fatto che abbiamo dato l'impressione nel manifesto cosi' come e' scritto che le discussioni 'sui perche' e sui percome della guerra' dovrebbero terminare. L'abbiamo fatto, ma solo perche' abbiamo mal scritto un'affermazione sulle priorita' lasciando intendere che stessimo descrivendo due possibilita' mutuamente escludentisi. In effetti non e' mai stata la posizione di quei blog che hanno lanciato l'iniziativa che ha condotto allo Euston Manifesto che la discussione sulle cause della guerra, o sulla pianificazione del dopoguerra, fosse in qualche modo inaccettabile. A riprova di questo posso fare riferimento ad un mio post (sul vecchio sito di normblog, 'But where is the green parrot?', 21 Agosto 2003) sulla questione se l'amministrazione Bush o il governo Blair abbiano deliberatamente fuorviato i loro cittadini. Questo e' ovviamente un legittimo argomento di discussione; di piu', è molto importante.

Il manifesto deve essere emendato su questo punto.

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18 giugno 2006

Questo blog non si occupa di calcio


Ciononostante, ci tengo a precisare che ieri l'unica salvezza e' venuta dal fatto che nel pub c'erano due maxischermi, e da un certo momento in poi ho potuto far finta di essere un argentino molto orgoglioso per la vittoria (45-27) della nazionale di rugby contro il Galles.

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16 giugno 2006

Binario 6


Continuano le traduzioni dei documenti aggiuntivi allo Euston Manifesto. Il sesto "binario" e' di Shalom Lappin, professore di linguistica computazionale al King's College di Londra ed esponente di spicco del movimento pacifista.



Lo Euston Manifesto ha suscitato notevoli reazioni sia fra i bloggers che sempre di piu' sulla stampa tradizionale. Una parte significativa di questi commenti, anche di quelli favorevoli, ha pero' in qualche modo travisato il manifesto. E' importante chiarire alcuni dei fraintendimenti che sono emersi. Anche se Alan Johnson si e' occupato di alcune di queste questioni nel suo ottimo post, un certo numero di punti meritano ulteriore analisi. Ne richiamero' brevemente quattro.

1.Lo Euston Manifesto non e' un documento pro-guerra. Mentre molti dei suoi firmatari hanno sostenuto l'intervento angloamericano in Irak, altri non l'hanno fatto. Io mi sono opposto costantemente alla guerra, considerandola mal concepita. Rimango convinto che ha causato piu' danni che benefici. Specificamente, mi sembra che il piu' probabile risultato a lungo termine della campagna sia una frattura insanabile dell'Iraq lungo le linee delle divisioni settarie, con l'Iran che si assicura un virtuale protettorato nella parte sciita ed il settore sunnita che fornisce una testa di ponte per gli islamisti ed il terrorismo baathista, una minaccia non solo per la popolazione dell'Iraq ma per gran parte del Medio Oriente. Dove io (e, credo, altri firmatari pacifisti del manifesto) mi distacco dalla gran parte del movimento pacifista ufficiale e' nel rifiuto di considerare come un problema marginale il regime omicida di Saddam Hussein e nel non essere disposto a cullare la grottesca illusione che l'insurrezione terroristica che conta i civili iracheni fra i suoi bersagli sia un movimento progressista di resistenza anti-imperialista.

Mentre non sono d'accordo con i miei colleghi favorevoli alla guerra sulla logica dell'intervento, sottoscrivo decisamente il loro punto di vista che l'obiettivo primario in Irak deve essere lo sviluppo di istituzioni democratiche che proteggano i diritti umani e la sicurezza di tutta la popolazione. Alcune delle figure piu' attive nel movimento pacifista hanno disonorato la propria causa, prima fungendo da apologeti di un regime fascista ed poi da propagandisti per i terroristi che cercano di arrestare ogni progresso verso una ricostruzione democratica. E' anche necessario specificare che opporsi alla guerra in Irak non implica il rifiuto di ogni intervento motivato dal desiderio di impedire stragi e genocidi: ogni caso deve essere valutato per i suoi meriti. Purtroppo, un numero notevole di leader di alto profilo del movimento pacifista non la vedono cosi': si sono opposti anche alla campagna americana di bombardamenti (e a qualunque altro sforzo occidentale) contro gli assalti di Milosevic a Bosnia e Kosovo; hanno mantenuto un terribile silenzio sulla violenza su vasta scala e la pulizia etnica in Darfur, e sospetto che si opporrebbero con forza ad ogni tentativo di fermare la strage. E' difficile definirla una posizione politica progressista: e' un arcaico riflesso condizionato anti-occidentale ed isolazionista che si traveste da anti-imperialismo.

2.Lo Euston Manifesto non e' in alcun modo una difesa delle politiche economiche e sociali della cosiddetta Terza Via o del New Labour. Io personalmente, come molti altri firmatari, sono un socialdemocratico fermamente intenzionato a difendere l'integrita' delle risorse e dei beni pubblici contro l'assalto della privatizzazione e dell'espropriazione - il risultato dell'adesione cieca ai dogmi neo-liberisti. Il manifesto si concentra sui valori fondamentali dell'egualitarismo e sul sostegno per l'organizzazione dei lavoratori in sindacati liberi, ma non impone ai propri sostenitori degli specifici modelli economici. Non era nostra intenzione farne un dettagliato programma di partito o una piattaforma ideologica: si limita a identificare una posizione generale nello spettro politico su cui i liberali, i socialdemocratici ed altri progressisti convergono nella loro visione delle condizioni necessarie per sostenere un ordinamento sociale dignitoso.

3.Lo Euston Manifesto non vuole essere una valletta della globalizzazione economica, ne' pero' considera la globalizzazione stessa come un irreparabile disastro a cui resistere a tutti i costi. Vede l'emergere di mercati mondiali sempre piu' interconnessi come analoga alla rivoluzione industriale dei secoli diciottesimo e diciannovesimo: in entrambi i casi il rapido cambiamento tecnologico ed economico ha prodotto profondi stravolgimenti sociali e nuove ricchezze. Inizialmente, queste ricchezze si sono concentrate nelle mani di una ristretta elite, col risultato di un crescente sfruttamento dei lavoratori e dell'aumento delle disparita' fra classi. Con la nascita del welfare state e del movimento sindacale, i benefici dell'industrializzazione hanno cominciato ad essere distribuiti uniformemente, e le disparita' fra le classi a ridursi. La rivoluzione in corso, globalizzando i mercati e i modi di produzione, ha reso inefficaci le tradizionali restrizioni allo strapotere del capitale. Di fronte alle pressioni globalizzatrici i governi socialdemocratici europei hanno in gran parte abbandonato il loro tradizionale ruolo di motori delle riforme sociali e delle spinte egualitarie, riducendosi a mitigare gli effetti disgregatori del cambiamento mentre perseguono politiche pro-impresa per arginare la fuga di capitali verso economie e regioni che promettono un piu' basso costo del lavoro. La grande sfida della politica progressista ai giorni nostri e' ridefinire il proprio progetto socialdemocratico in termini internazionalisti, per promuovere la creazione di un insieme efficace di strumenti pubblici atti a gestire le nuove dinamiche economiche globali proteggendo gli interessi dei lavoratori e dei consumatori. Per converso, una parte della sinistra ha sposato una posizione radicale anti-globalizzazione, una posizione da moderni ludditi o agrari romantici, una posizione reazionaria che cerca di fermare lo sviluppo piuttosto che di sfruttarne i benefici per alleviare poverta' e sottosviluppo. Una risposta politica progressista a modelli economici globalizzatori non puo' cercare di sopprimere il cambiamento o di ostruire lo sviluppo. Il suo obiettivo primario e' usare le occasioni di sviluppo economico per promuovere un approccio razionale alle riforme sociali ed alla protezione dell'ambiente.

4.Lo Euston Manifesto non e' una copertura per radicali disillusi che cercano di far passare un ordine del giorno neocon. È un tentativo da parte di persone profondamente legate ai valori della sinistra democratica di rispondere alla crisi politica profonda che oggi affligge l'Europa e la maggior parte dell'Occidente. Questa crisi minaccia il tessuto stesso della democrazia liberale, mentre grandi fette di una sedicente sinistra fanno causa comune con estremismo, totalitarismo ed antisemitismo, mentre la xenofobia e l'abbrutimento della societa' emergono come temi dominanti a destra. Ci troviamo a proseguire la lotta dei nostri predecessori delle generazioni precedenti della sinistra socialdemocratica, che ha combattuto le perversioni dello stalinismo e dei suoi apologeti da un lato e i sostenitori di un ordine sociale finalizzato a servire esclusivamente gli interessi del potere e delle classi privilegiate dall'altro. Le nostre politiche sono informate prima di tutto dal presupposto che affinche' un movimento sia progressista nella sostanza e non solo nel nome, deve cercare di sostenere ed aiutare a radicare nella societa' le istituzioni democratiche ed i diritti umani in ogni contesto in cui opera, piuttosto che insidiarli. Sebbene questo presupposto possa sembrare evidente al limite della banalita' per qualcuno, la facilita' con cui molti che parlano in nome della sinistra ne ignorano gli obblighi conseguenti ci ha spinti a metterlo al centro del nostro manifesto.

(Shalom Lappin, King's College, Londra)

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E' venerdi'


Il venerdi' nella City succedono sempre cose surreali. A volte proprio qui davanti si ferma una limousine dello Spearmint Rhino (non cliccate sul link se siete al lavoro) e ne scendono un paio di belle figliole che s'arrampicano sul tettuccio e si spogliano come mamma le ha fatte - anche a gennaio.

Adesso davanti al mio ufficio sta passando un signore che per protesta contro il riciclaggio ha deciso di fare 40 miglia a capriole. Dice che il riciclaggio non e' abbastanza ecologico, le cose andrebbero riutilizzate anche dopo che si sono rotte, "distruggere per creare oggetti nuovi" e' consumistico.

E' confortante sapere che nonostante i miei gridolini di divertimento quando precipito di testa nel fango cadendo dalla mountain bike, nonostante le telefonate entusiaste a mia moglie, "Il percorso e' bellissimo! Sono caduto tre volte, due contro un albero e una nel fiume!", nonostante i pettirossi che mi fanno il nido nel capanno degli attrezzi, nonostante il gatto che mi dorme in testa, nonostante il mio desiderio di avere un figlio da usare come scusa per giocare con i trenini elettrici, c'e' sempre chi e' messo peggio di me. La crisi esistenziale e' sventata anche per questo weekend.

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15 giugno 2006

Pesi e misure


C'e' veramente poco da aggiungere

Tuttominuscolo

(su segnalazione di filomeno)

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Chimica politica


Un dubbio m'attanaglia: ma perche' diavolo Babelfish traduce "social democrat" con "carbossimetilazione sociale"? C'e' qualcosa che mi sono perso?

Vuoi vedere che se al primo anno non fossi stato l'ultimo del mio corso in chimica adesso capirei tutto di Proudhon?

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L'angolo della vanita'


Per chi usa Google Earth, ho salvato il percorso che faccio ogni mattina in bicicletta per andare al lavoro

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14 giugno 2006

Binario 5


Precisazioni di Alan Johnson sullo Euston Manifesto, la guerra, l'internazionalismo, il capitalismo.

Vorrei solo premettere che Alan Johnson e' insieme ad Eve Garrard il mio Eustonian preferito, e trovo che il suo intervento di presentazione sia stato il migliore in assoluto ed il piu' coinvolgente. Consiglio vivissimamente al mio lettore anglofono di dargli una scorsa (tradurro' anche quegli interventi, un giorno o l'altro).



Euston: mind the gap

'Mind the gap!', avverte la voce registrata, per impedire che il passeggero che scende dalla metropolitana caschi nello spazio vuoto fra il vagone ed il marciapiede. Il gruppo dell'Euston Manifesto puo' avere bisogno di qualcosa di simile. Il nostro manifesto ha attratto commenti da sinistra (Martin Kettle sul Guardian, Will Hutton sull'Observer) e da destra (il neocon William Kristol sul Weekly Standard), ma e' diventato evidente un gap, un divario fra alcune opinioni diffuse (che siamo 'pro-guerra', 'un gruppo di anziani giornalisti' e, stranamente, sia 'socialisti vecchio stile' che 'Blairiani') e una realta' molto piu' interessante.

In primo luogo, Euston non e' 'un manifesto pro-guerra' come il New Statesman del 17 aprile, in maniera fuorviante e forse maliziosa, ha sostenuto. Molti degli autori del manifesto, compreso me, e molti firmatari (per esempio Michael Walzer), si sono opposti alla guerra. Ho partecipato e tenuto discorsi in occasione di scioperi di studenti e insegnanti, davanti a blocchi stradali e ferroviari, abbiamo chiesto piu' ispettori, una politica di contenimento militare e solidarieta' con i democratici iracheni. I cartelli che portavamo dicevano 'no alla guerra, no a Saddam' e 'cambio di regime dal basso'. Sfilavamo sotto a quei cartelli fin dagli anni '80, quando ci scontravamo davanti all'ambasciata irachena con i picchiatori di Saddam.

La correttezza della nostra posizione pacifista puo' essere discussa. Personalmente, e nel complesso, penso ancora di aver avuto ragione su quella guerra, in quel momento, con quella coalizione. Chi vivra' vedra'. Quello che non mi spiego e' come chiunque possa semplicemente irridere, senza discussione o riflessione, alla posizione della sinistra favorevole alla guerra ed esigere da essa scuse e autocritiche, dopo la rimozione di Saddam e del Ba'ath, il ritorno dei profughi, il recupero delle aree paludose, la scoperta delle fosse comuni, la nascita e lo sviluppo della stampa libera, la gioia della gente con le dita tinte di viola, la nuova costituzione, lo sviluppo di un sindacato libero. La rabbia feroce che molti di noi che si erano opposti alla guerra hanno provato allo spettacolo di quella parte della sinistra pacifista non e' in discussione. Ragazzi, se c'era. La vergogna. L'incoraggiamento ai fascisti, il descrivere Bush come 'il vero terrorista', l'indifferenza per la democrazia che nasceva in Iraq, il disprezzo per i sindacalisti iracheni torturati ed assassinati, le alleanze con gli islamisti radicali, l'ascesa di George Galloway al ruolo di leader, la simpatia per le teorie complottiste del 9/11, l'incancrenirsi dell'antiamericanismo.

A partire dalla rabbia comune per questa vergogna - e dal nostro impegno comune e forte per i valori democratici, egalitari e liberali - abbiamo formato un'alleanza con la sinistra favorevole alla guerra, di cui Norman Geras era per molti l'esponente piu' eloquente e autorevole. L'alleanza immediata e' stata per il nuovo Iraq, mentre per un anno esploravamo l'idea di un rinnovamento dei progressisti a sinistra. La reazione allo Euston Manifesto - 200.000 risultati su Google entro i primi giorni, segnala Will Hutton - suggerisce che abbiamo trovato una nicchia di mercato: una buona meta' della sinistra liberale.

In secondo luogo, come dovrebbe essere ormai chiaro, lo Euston Manifesto non e' semplicemente frutto del lavoro di un gruppo di giornalisti seduti in un pub. Quei giornalisti fanno parte di una rete politica che si e' formata attorno, fra gli altri, ad Harry's Place, Normblog, Labour Friends of Iraq, Engage, Unite Against Terror, Democratiya. Questa rete puo' ed intende affrontare la sinistra reazionaria, nichilista ed 'anti-imperialista' come il Labour e la sinistra in generale non hanno mai voluto, o hanno avuto paura di fare.

La rete che sta emergendo e' globale: la dichiarazione on-line 'Unite Against Terror' e' stata tradotta in 13 lingue ed è stata firmata da persone di oltre 40 Paesi; i democratici di sinistra di tutto il mondo continuano a mettersi in contatto; il settanta per cento dei lettori online di Democratiya vivono al di fuori del Regno Unito.

Inoltre - ancora, mind the gap! - questa rete non sta semplicemente sopravvivendo come uno spettro nello spazio virtuale. Sta sconfiggendo l'intifada accademica nell'AUT in meno tempo di quanto ci voglia a dire 'argomenti migliori, organizzatori migliori'. Sta vincendo la battaglia per offrire solidarieta' ed appoggio pratico ai sindacalisti iracheni minacciati dai fascisti della cosiddetta 'resistenza'. Sta instaurando un dialogo in tutto il Paese con esponenti Labour che cercano disperatamente di ravvivare una reale discussione politica con la base. Sta dando vita a nuove pubblicazioni che collegano fra di loro gli intellettuali democratici di sinistra in tutto il globo.

Paul Berman, esponente della sinistra americana, giornalista di Dissent, autore di Terror and Liberalism e firmatario di Euston, ha chiamato la rivista online Democratiya 'una voce dal continente perduto della politica moderna - l'antitotalitarismo e l'internazionalismo di sinistra' ed affermato che 'il mondo ha un acuto bisogno di questo giornale'.

Ridurre questo momento politico - forse un giorno guarderemo indietro e diremo che e' il momento in cui la nuova forma della sinistra democratica post-Blair è venuta alla luce - ad alcuni nomi familiari della parte pro-guerra della stampa britannica e' irragionevole, anche se conveniente per coloro che hanno deciso di fare vela con Galloway, Pilger, Gott e i loro discorsi sulle 'bombe di Blair'.

Il terzo malinteso sullo Euston Manifesto e' di carattere differente e riguarda la nostra posizione nei confronti del capitalismo globale. Martin Kettle, in una valutazione in gran parte equa e ragionata, sostiene che Euston e' anti-capitalista e pertanto vive nel passato, con il solo obiettivo di salvare il dodo del socialismo. Altri hanno bollato il manifesto come 'Blairiano' e come un tradimento della sinistra. Ancora, si sta ignorando una nuova realta', si sta forzando lo Euston Manifesto nel letto di Procuste di vecchie categorie, fino a distorcerne il significato.

Martin Kettle asserice che ci concentriamo 'esclusivamente sulla minaccia che viene dalle multinazionali, ignorando gli enormi benefici che la globalizzazione ha portato nel corso della nostra vita alle masse dell'Asia, impoverite dal fallimento del socialismo di Stato'. Questo non e' vero. Il manifesto dice:

Prendiamo posizione per lo sviluppo economico globale come condizione per la liberta' e contro l'oppressione economica strutturale e la degradazione ambientale. Non si puo' permettere all'espansione corrente dei mercati globali e del libero scambio di servire gli interessi ristretti di una piccola elite corporativa nel mondo sviluppato e dei loro clienti nei Paesi in via di sviluppo. I benefici dello sviluppo su vasta scala attraverso l'espansione del commercio globale devono essere distribuiti quanto piu' ampiamente possibile per servire gli interessi sociali ed economici degli operai, degli agricoltori e dei consumatori in tutti i paesi. Dalla globalizzazione deve conseguire l'integrazione sociale globale ed un impegno per la giustizia sociale. Sosteniamo la riforma radicale delle principali istituzioni di controllo economico globale (Organizzazione Mondiale per il Commercio, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale) per realizzare questi obiettivi e sosteniamo il commercio equo e solidale, un incremento della cooperazione allo sviluppo, la cancellazione del debito e la campagna per cancellare la poverta' (Make Poverty History). Lo sviluppo puo' portare ad un incremento nell'aspettativa di vita e nella qualita' stessa della vita, rendendo meno pesante il lavoro e accorciando le giornate lavorative. Può donare liberta' ai giovani, possibilità di sperimentare cambiamenti agli adulti e sicurezza agli anziani, espandere gli orizzonti e le opportunita' di viaggiare ed aiutare a 'trasformare gli sconosciuti in amici'. Lo sviluppo globale deve essere sempre perseguito in maniera compatibile con i principi della crescita sostenibile.

Come ha potuto Kettle non notare il nostro riconoscimento dei 'benefici dello sviluppo su vasta scala attraverso l'espansione del commercio globale'? Come si puo' confondere la nostra richiesta per una globalizzazione alternativa - 'integrazione sociale globale ed un impegno per la giustizia sociale' - con l'anti-globalizzazione?

Il gruppo dello Euston Manifesto non ha concordato un programma economico dettagliato, ma come la prima frase (sviluppo per la liberta') chiarisce, molti di noi ritengono che il lavoro rivoluzionario del Nobel per l'economia Amartya Sen dovrebbe essere un importante punto fermo: supera gli sterili dibattiti pro e contro i mercati e, estendendo il lavoro di John Kay, esplora i modi in cui i mercati possono funzionare meglio e favorire la giustizia sociale se inseriti in contesti socioculturali giusti ed umani, contraddistinti dal rispetto per liberta' e democrazia.

Cio' che il manifesto aggiunge a queste analisi, io penso, e' una riaffermazione dell'idea che la classe operaia, organizzata in sindacati democratici transnazionali, rimane il contesto più importante. Sen sostiene che 'il processo di espansione della libertà reale di cui le persone godono... richiede la rimozione delle principali cause di mancanza di liberta': la povertà così come la tirannia, le scarse opportunita' economiche così come la deprivazione sistematica di intere categorie sociali, la negligenza delle strutture pubbliche così come l'intolleranza o l'ingerenza continua dei governi repressivi'. In termini simili Gordon Brown ha sostenuto che dobbiamo 'affrontare le ingiustizie che generano rancore, [e] attraverso il potenziamento delle economie dei Paesi poveri seguendo le strade della cancellazione del debito, degli aiuti economici e dello sviluppo di un sistema sanitario ed educativo pubblico, e lo sviluppo economico mostrare che la globalizzazione puo' essere vista non come una fonte di ingiustizia e di poverta' ma come una forza per la giustizia sociale su scala globale.' Senza sindacati liberi e forti organizzati dal basso questi obiettivi non saranno raggiunti.

Si', il capitalismo globale non ha generato un mondo in cui gli operai non avessero 'niente perdere se non le loro catene', ma il nostro mondo rimane inumano. Max Shachtman ha espresso verso la fine degli anni '50 l'idea che 'il capitalismo e'... sempre più incapace di far fronte ai problemi di base della società, di mantenere l'ordine economico e politico'. Assieme alla produzione crescente e alla costante innovazione - la crescita di ricchezza, reddito e aspettativa di vita e' incontestabile - un sistema economico incontrollabile e famelico minaccia di consumare le risorse del pianeta, di stravolgere le comunità, di escludere tutto cio' che considera superfluo, di corrodere le istituzioni sociali e di sopraffare la democrazia rappresentativa. Molti temono che tutto cio' che tocca - e tocca tutto - si trasformi in un prodotto da comprare e vendere, arricchito da un valore monetario ma privato di qualsiasi valore umano. Ci sentiamo svalutati noi stessi da questo processo, e ci sentiamo insicuri e assediati - alla merce' delle forze che abbiamo generato.

In molte parti del mondo i bisogni umani di base rimangono insoddisfatti su una scala terribile: Sen ci ricorda che malgrado 'gli aumenti senza precedenti nella ricchezza generale', il mondo 'nega le liberta' elementari a grandi masse di popolazione - forse persino alla maggioranza degli esseri umani'.

La sinistra democratica deve offrire risposte migliori che un semplicistico allineamento alle logiche del mercato globale e alla sfacciata noncuranza per le terribili disparita' che genera. Rendere piu' umano un mondo instabile, asservendo l'economia globale allo sviluppo e lo sviluppo alla liberta' ed alla giustizia sociale, ridurra' l'attrattiva di quello che Albert Camus chiamava ' primitivistico abbaiare alla luna' che ai giorni nostri assume la forma totalitaria dell'Islam politico.

In conclusione, come il passeggero della metropolitana che supera con un salto lo spazio vuoto fra il vagone e il marciapiede, per meglio esplorare la città eccitante che lo attende, sarebbe bene che chi discute dello Euston Manifesto fosse piu' agile. Provate a saltare. C'e' il continente perduto della sinistra dall'altra parte.
(Alan Johnson)

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13 giugno 2006

Squatters


Ogni giardino inglese ha un capanno degli attrezzi. Il mio non fa eccezione. Solo, il mio capanno degli attrezzi ha una finestra in plexiglass a cui manca un pezzo, e un paio di settimane fa una coppia di pettirossi ci ha fatto il nido, usando come base la boccetta del lubrificante per la catena della bicicletta (quello estivo, alla cera, per climi asciutti), la chiave inglese per la sostituzione dei pedali e la chiave esagonale.

Mia moglie, l'adorabile creatura, mi ha fatto ovviamente sapere che se spaventavo in qualsiasi modo papa' e mamma pettirossi, ci sarebbe voluta l'analisi del DNA per identificare il mio cadavere. Cosi' da qualche tempo ho la bicicletta in corridoio e il tagliaerba in cucina, e nel capanno, off-limits fino a settembre (sono stato informato che i pettirossi fanno due nidiate all'anno) mi si sono schiuse almeno quattro uova. Aspetto con impazienza l'inizio delle lezioni di volo...

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Incompetence


Incompetence e' il titolo di un romanzo di fantascienza demenziale scritto da Rob Grant, co-autore di Red Dwarf, la piu' originale ed esilarante produzione inglese di fantascienza degli ultimi anni (forse ispirata, ma mai ufficialmente, da Starship Titanic di Douglas Adams).

L'ambientazione e' l'Europa del futuro prossimo, piu' prossimo di quel che ci piace pensare, un'Europa finalmente unita e regolata dalla sua Costituzione, il cui articolo 13199 recita:

"Nessuno potra' essere escluso o licenziato da qualunque lavoro, in qualunque ruolo ed a qualunque livello, per ragioni di eta', razza, fede religiosa o incompitenza"

Il protagonista deve dare la caccia a quella che sembra l'ultima persona competente d'Europa, un efficientissimo serial killer, muovendosi - con difficolta' e con scarpe in buccia di carota, perche' la Costituzione ha reso il vegetarianesimo obbligatorio - in un panorama di entraineuse maschi ottantenni, buttafuori ciechi, piloti d'aereo con le vertigini, poliziotti con sindrome di deficit d'attenzione.

Come dice la quarta di copertina, alla ricerca di un killer, alla ricerca della verita', alla ricerca di un idraulico decente. Esilarante, anche se allarmante. Non credo sia mai stato tradotto, ma per chi parla inglese vale decisamente la pena leggerlo.

12 giugno 2006

BB: Basta, Beppe


Aderisco con un certo entusiasmo alla campagna anti-Beppe Grillo lanciata da Progetto Mayhem. E' dai tempi di quando diceva enormi cazzate sugli OGM e in generale sulle biotecnologie che non lo sopporto, il fatto che si creda (e che molti lo credano) un guru, e che se Stephen Hawking dice che i buchi neri decadono ma Beppe Grillo dice di no, meta' degli italiani credono a Beppe Grillo "perche' parla chiaro", me lo rende del tutto insopportabile anche quando, per un motivo o per l'altro, dice cose con cui potrei essere d'accordo. Per cui, bannerino e adesione entusiasta.

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Chi ce l'ha piu' grosso?


Quest'articolo della BBC secondo me spiega gran parte di quello che e' successo negli ultimi 2000 anni in termini di rapporti fra i due sessi. In particolare la' dove la dott. Davy dice:

The original anatomists weren't interested in the clitoris. The penis was much more interesting. It was bigger and you didn't have to wear your spectacles to see it.

Ossia (traduco per il mio lettore non anglofono): "I primi studiosi di anatomia non erano interessati al clitoride. Il pene era di gran lunga piu' interessante. Era piu' grosso e non bisognava mettersi gli occhiali per vederlo"

Spiega tutto.

Hat tip a Pootergeek

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Binario 4


Una risposta di Norman Geras a critiche presentate dai blogger di Socialism In an Age of Waiting, e la spiegazione di un'apparente contraddizione nel testo dell'Euston Manifesto.


Come altri sostenitori del manifesto di Euston, sono felice del 'modo amichevole e costruttivo' in cui i bloggers noti come SIAW hanno commentato il documento, pur non ritenendo di poterlo firmare. Sollevano un certo numero di obiezioni, e qui vorrei rispondere ad una. E' nel paragrafo 1 del documento - anche i punti 2 e 3 non se ne distanziano molto. I SIAW scrivono:

O il gruppo di Euston "sta tracciando una linea di demarcazione fra quelle forze della sinistra che rimangono allineare ai propri valori autentici e quelle correnti che ultimamente si sono rivelate un po' troppo flessibili su questi stessi valori" - il che certamente implica che il gruppo in se' sia parte della sinistra - o sta intraprendendo "un riallineamento dell'opinione progressista e democratica", "facendo causa comune con gli autentici democratici, siano essi socialisti o no" ed "estendendo il proprio appello oltre la sinistra socialista, fino ai liberali egalitari e chiunque altro il cui impegno democratico sia inequivocabile". Non può fare coerentemente ed efficacemente entrambe le cose.

La prima cosa da dire su questo e' che se c'e' una contraddizione fra i due obiettivi del Manifesto che i SIAW mettono in evidenza, non è perché il gruppo del manifesto di Euston vi e' caduto accidentalmente; non e' una svista o un incidente. E' una contraddizione deliberata e voluta, un punto di vista concordato nella nostra prima riunione e riaffermato nell'ultima, prima che presentassimo al pubblico il documento. Proprio a riflettere questa genesi, la cosa e' dichiarata nel primo paragrafo. Per dirla semplicemente, il manifesto non e' e non e' stato inteso come un manifesto specificamente 'socialista' nel significato del termine che i SIAW sarebbero disposti ad approvare (da qui il 'lasciare aperta' la questione delle forme economiche, affermazione che criticano nel punto 3); d'altra parte, il manifesto era inteso come un documento che un socialista potesse sottoscrivere assieme ad altri non appartenenti allo stesso schieramento ma con cui potesse essere possibile trovare un terreno comune. Ripeto, tutto cio' era deliberato ed intenzionale, e non ho neanche bisogno di specificare che parlo a titolo personale, dal momento che, anche se ci sono state fra gli Eustonians differenze di opinione sull'enfasi da dare alla cosa, tutto questo e' stato esplicitamente discusso e deciso. Se e' un'incoerenza quindi, si tratta di un'incoerenza formalmente decisa.

Vorrei pero' anzitutto vedere degli argomenti a riprova del fatto che sia un'incoerenza, e non mi sembra che ce ne siano nella critica dei SIAW. E' facile vedere che i socialisti che sono democratici condividono valori importanti con i democratici che non sono socialisti. Inoltre, i socialisti che pensano che il liberalismo contenga delle risorse, intellettuali e di processo, il cui valore alcune correnti all'interno della tradizione socialista hanno sempre apprezzato solo in parte o per nulla, possono condividere la propria posizione su determinate questioni con i liberali mai persuasi dai modelli economici socialisti. Ci sono liberali egalitari e non egalitari, dunque esiste la possibilita' di condividere con una parte del pensiero liberale i valori dell'uguaglianza attraverso la linea di demarcazione, anche se il significato stesso di uguaglianza sara' inevitabilmente argomento di ulteriore discussione. E ci sono tutti i generi di questioni - razzismo, sessismo, l'atteggiamento nei confronti della liberta' di espressione e della censura, questioni ambientali e cosi' via - dove chi e' socialista e i liberali o i radicali che non lo sono possono avere posizioni comuni o vicine. Non e' affatto dimostrato a priori che e' incoerente per i socialisti voler fare causa comune con i democratici, i liberali ed altri, ed allo stesso tempo volersi differenziare da chi, a sinistra, mostra poco impegno nella difesa dei valori liberali e democratici.

I SIAW stessi ammettono 'la collaborazione occasionale e provvisoria con i non-socialisti su questioni specifiche'. Ma questo sembra essere per loro, implicitamente, il limite di cio' che e' accettabile, o almeno non pericoloso politicamente. Direi per quanto mi riguarda che dall'11 settembre 2001 non si tratta piu' di questioni specifiche, ne' di qualcosa di occasionale. Attraverso una vasto spettro di questioni politiche oggi estremamente importanti ? questioni che hanno a che fare con la guerra e la pace, con gli interventi umanitari, col terrorismo e la lotta al terrorismo, col ruolo dell'America nel mondo, con l'indulgenza a sinistra verso regimi e pratiche verso cui nessuna indulgenza dovrebbe essere permessa - vi è la base per una lotta comune che unisca una parte della sinistra a chi di sinistra non e', e la divida da altri che di sinistra si dicono. Diro' anche - e qui non sostengo di parlare per altri - che se devo scegliere fra un liberale che sia democratico ma non socialista e un socialista che difende posizioni illiberali ed ha un tenue, o peggio che tenue, legame con la democrazia, staro' dalla parte del primo. Ogni volta.

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09 giugno 2006

Little Atoms


Little Atoms
e' una radio indipendente londinese - in realta' solo uno studio di produzione, perche' trasmette tramite Resonance FM. E' una talk radio nella tradizione anglosassone, e trasmette principalmente dibattiti sull'ateismo, il razionalismo e i diritti umani.

Oggi alle 16.30 (ora inglese, 17.30 italiane) trasmettera' la registrazione della presentazione dell'Euston Manifesto alla Union Chapel. E' possibile ascoltarla anche dal sito di Resonance FM, ovviamente. In generale le trasmissioni vengono messe online sul sito di Little Atoms dopo qualche giorno. Consiglio in particolare l'intervento di Alan Johnson.

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Binario 3


Continua la serie delle risposte di membri ed estensori dello Euston Manifesto a critiche ed osservazioni da sinistra, da destra e in questo caso dal centro. Molte delle obiezioni al Manifesto sono state riportate anche dalla stampa e dai blogger italiani (ad esempio quelle di Daniel Finkelstein, che sono oggetto di un futuro Binario scritto da Alan Johnson)



La risposta di Martin Kettle allo Euston
Manifesto e' corretta in molto di quello che dice su cio' che il Manifesto ed il gruppo del Manifesto non sono. Non siamo un partito politico. Il Manifesto non e' un programma di governo. Kettle identifica inoltre delle lacune nelle argomentazioni e ne mette in discussione gli scopi; scrive che si aspettava che mettesse un maggiore accento sulla solidarieta', ma alla fine decide che l'oggetto del contendere, per il gruppo di Euston, sono in realta' 'i diritti di proprieta' su di un cadavere' - quello della sinistra britannica. Altri hanno espresso posizioni simili nei loro commenti - un amico laburista mi ha chiesto, 'perche' non vi iscrivete a Compass e non lavorate dal centro?'. Come Martin Kettle ricorda, cio' che conta in politica elettorale e' il centro e per aggiudicarsi il centro bisogna avere un programma sulla sanita' pubblica; bisogna avere una posizione precisa sull'ambiente. In una delle riunioni che hanno portato al Manifesto c'e' stata una discussione esattamente su questo punto: perche', ha chiesto qualcuno , l'Open Source e' nel Manifesto e l'NHS [il sistema sanitario pubblico, NdT] no?

La risposta data durante quella discussione era che gli Eustonians non sono un partito politico e quindi non devono avere una posizione politica su tutto, ne' devono conquistare il centro politico dall'interno del sistema - benche' alcuni di loro passino moltissimo del loro tempo a fare esattamente questo, e probabilmente siano iscritti a Compass, mentre altri membri del gruppo non sono iscritti e nemmeno sostenitori del Labour anche se afferiscono generalmente alla sinistra, 'al cadavere', come dice Martin. La mia impressione e' che mentre ha ragione quando indica alcuni punti deboli del documento, fraintende le nostre intenzioni cosi' come le vedo io. Laddove lui parla di un cadavere e dell'importanza del centro, io direi piuttosto che la natura della politica e del dibattito politico e' cambiata. Come egli stesso mette in evidenza, i tempi sono cambiati. La natura del cambiamento e' che le politiche di partito ed i programmi di partito sono oggi solo una delle maniere in cui si puo svolgere la discussione politica nazionale ed internazionale: il mondo si e' riempito di discussioni, spesso urlate, che si svolgono nella sfera virtuale. Grazie a questi nuovi media nuove aggregazioni prendono forma e agiscono collettivamente, e gli Eustonians sono una rappresentazione politica di questo nuovo sviluppo organico.

Alcuni membri del Gruppo del Manifesto di Euston possono non essere d'accordo, ma e' possibile porre la questione se le idee progressiste, che io sostengo, non siano necessariamente servite meglio dalla permanenza al potere del Partito Laburista, bensi' piuttosto dal prevalere di idee di piu' ampio respiro fra i legislatori e fra il grande pubblico. Il cambiamento politico radicale è reso permanente dall'incorporazione nel consenso collettivo, quale che sia il partito al potere; sono i contenuti e la forma con cui il consenso collettivo si presenta a determinare la qualita' della vita in questo Paese e l'influenza all'estero. I valori dell'internazionalismo liberale informati dai diritti dell'uomo e dall'egalitarismo, l'aspirazione a sradicare l'emarginazione sociale in casa e a combattere il terrorismo fuori, possono essere fatti propri ed elaborati da soggetti provenienti dai piu' diversi ambiti politici. L'evoluzione dall'adesione ad un particolare partito all'adesione a determinati valori fondamentali che ha caratterizzato la politica durante gli ultimi decenni implica che la natura delle coalizioni ed i contenuti delle alleanze che possono ora emergere possono sorprenderci tutti. Il Manifesto di Euston rappresenta un primo passo lungo una di queste nuove strade, pertanto l'appello che lancia dovrebbe per me essere il piu' vasto possibile

Martin ci descrive come la sinistra pro-guerra. Molti del gruppo erano e rimangono pacifisti ed hanno una vasta gamma di opinioni sulle questioni discusse nel Manifesto. Cio' che li unisce e' la convinzione che gli eventi a partire dal 9/11 rappresentino una parte di un vasto assalto alla democrazia, e che questo assalto debba essere fronteggiato, combattuto e sconfitto. Cose come il Manifesto di Euston sono piccoli passi in questa lotta. In un certo qual modo gli Eustonians hanno compiuto la loro missione: l'ampiezza del dibattito sul web e le prime reazioni che segnano il risveglio dell'attenzione dei media tradizionali mostrano la diffusione dell'eco che questa posizione alternativa all'interno della sinistra ha avuto ed il riconoscimento della sua rappresentativita attuale e futura. Ma soprattutto chi si riconosce nelle idee generali portate avanti dal documento ha ora la consapevolezza di poter stabilire un legame con altri che condividono le stesse idee. Martin Kettle riassume molto bene qual era per me il messaggio del Manifesto quando scrive:

C'e' molto di condivisibile in quello che il Manifesto dice. E' vero quello che dice dei concetti fondamentali - democrazia, liberta', universalita'. Ma e' anche vero cio' che dice sull'immoralita' del cercare scuse per le azioni di terroristi reazionari in nome de ?il nemico del mio nemico dev'essere mio amico?; ha ugualmente ragione sull'indignazione sproporzionata per atti ingiustificabili commessi dall'occidente rispetto ad atti simili da parte anti-occidentale; sulla vaga simpatia per l'antisemitismo che affiora durante certe discussioni sul Medio Oriente; sulla stupida e cocciuta disonesta' della sinistra per quanto riguarda i propri crimini ed errori del passato; e sulla necessità di sostenere, e non contrastare, il principio dell'intervento umanitario internazionale.

Forse, in chiusura, vale la pena di affermare chiaramente che le nostre ambizioni ed ego non erano poi cosi' imponenti come molti dei nostri critici sembrano pensare. Nel riunirci, nella redazione del documento e nell'usare le risorse di Internet per pubblicarlo, non ci siamo mai aspettati che avremmo cambiato il mondo o che il documento sarebbe un modello per trasformare la società. Speravamo di provocare un dibattito, di creare uno spazio per permettere a persone di idee simili di venire in contatto in maniera virtuale e di persona, e di avere una certa influenza sulla discussione pubblica. Nel 'Saggio come forma', il solitamente illeggibile Theodor Adorno scrive una frase che per me fotografa qualcosa di importante del progetto Euston:

[ il saggio ] inizia non con Adamo ed Eva ma con cio' di cui intende parlare; dice che cosa si presenta ad esso in quel contesto e si arresta quando ritiene di aver finito piuttosto che quando non c'e' niente dire. I suoi concetti non sono derivati da principii primi.

Forse avremmo dovuto chiamare il Manifesto 'un saggio'! (Brian Brivati)

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08 giugno 2006

Shooting War


Shooting War
e' un fantastico fumetto creato in rete. Un futuro prossimo assieme prevedibile e scioccante - non sono riuscito a staccarmente finche' non ho finito di leggere i quattro capitoli scritti finora. Irrinunciabile per chi mastica un po' d'inglese.

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07 giugno 2006

Binario 2


La seconda risposta a critiche ed osservazioni sull'Euston Manifesto. Anche quest'articolo e' di Norman Geras. Ancora, chi legge si renda conto che non sono un traduttore professionista, ho cercato di fare del mio meglio ma il risultato e' quello che e'.



Marc Mulholland trova la maggior parte del Manifesto di Euston 'molto condivisibile' e pensa inoltre che sia 'roba sciocca e insipida'. Va benissimo, ha tutto il diritto di esprimere una simile combinazione di giudizi, ed ha piu' che il diritto, ha effettivamente ragione, a dire:

Il Manifesto deve aspirare ad una certa serieta' se desidera essere preso seriamente.

Ciascuno puo' giudicare da se' il livello di serieta' del Manifesto. Marc sembra non trovarlo abbastanza ?sostanzioso? da prenderlo seriamente, ma gli ha dedicato quattro post in altrettanti giorni, dopo sette mesi in cui sul suo blog non ha pubblicato osservazioni su alcunche'.

Poco male. A differenza di alcune delle obiezioni piu' deboli e/o altezzose al Manifesto, di cui ho dato qualche esempio in Binario Uno, ci sono due obiezioni sollevate da Marc che meritano una risposta articolata.

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La prima e' la sua critica che il manifesto di Euston non ha alcun 'sistematico orientamento strategico'; non offre 'una chiara visione del percorso da intraprendere per raggiungere i propri obiettivi'; Marc ritiene che il nostro punto debole sia nell'identificazione dei mezzi:

I manifesti classici identificano una forza storica (la classe sociale, la nazione, i liberi cittadini o qualunque altra cosa) e si impegnano ad esservi fedeli

Fa tutt'uno con queste osservazioni il paragone sfavorevole che traccia fra cio' che definisce 'il marxismo borghese' di George Bush e dei suoi sostenitori neocon e il rifiuto da parte di noi Eustonians di descrivere la nostra posizione in termini di materialismo storico. Vediamo le democrazie pluraliste come gli agenti privilegiati del cambiamento in senso progressista, dice Marc, ma non abbiamo una concezione molto chiara del perche' dovrebbero essere loro a svolgere questo ruolo piuttosto che altre forze sociali - 'comunità nazionali, società civili basate sul libero mercato o alleanze di classe'.

Parlando solo per me qui (e quindi non necessariamente per altri membri del gruppo del Manifesto di Euston), direi che Marc ha due volte ragione e una volta torto. Ha ragione a dire che il Manifesto non è un documento marxista, ma non era nostra intenzione che lo fosse: mentre alcuni dei suoi sostenitori sono marxisti, molti non sono. Perche' mai, nel tentativo di delineare un terreno comune, avremmo dovuto redigere un documento basato su presupposti che non sono condivisi all'interno del gruppo? Marc ha inoltre ragione quando dice che il manifesto non descrive chiaramente un percorso, ne' un ben definito agente di cambiamento storico pronto in attesa all'inizio di questo percorso. Di nuovo, non pretende di farlo; non era quella la nostra ambizione. Il nostro lavoro aveva lo scopo di elaborare un programma fatto di valori ed impegni comuni, di descrivere a grandi linee la nostra presa di posizione su alcune questioni politiche alla ribalta, posizione che e' comune e che pensiamo sia importante. Se tutto questo non basta a fare del documento che abbiamo prodotto un vero e proprio manifesto, potete ribattezzarlo 'il documento di discussione di Euston'. Questa e' la sua essenza: un punto focale per persone con opinioni comuni, un modo per aprire un dibattito su alcune questioni che ci hanno sollecitati ad agire.

Pertanto, mentre Marc ha ragione su tutto questo, non vedo il suo avere ragione come negativo per il Manifesto di Euston una volta tenuto conto degli obiettivi dei suoi estensori. Dove invece sbaglia e' nel suggerimento che la nostra concezione (per lui mal posta) dei mezzi privilegia le democrazie pluraliste. Affermiamo - perché lo crediamo - che le democrazie siano preferibili ai vari tipi di tirannia (facciamo pero' anche riferimento alle loro imperfezioni). Niente pero' nel Manifesto lascia intendere che l'opinione dei firmatari sia che sono queste democrazie, intese come istituzioni statuali, il solo o il principale strumento per cambiare il mondo in meglio, escludendo piu' vaste forze di classe, movimenti sociali, organizzazioni politiche e così via. Il Manifesto - scusate, il documento di discussione - non dice questo sui mezzi, perche' dei mezzi non parla. È una mancanza? Si'. Niente pero' impedisce ad altri di cominciare a sopperirvi costruttivamente, nella speranza che abbiano idee convincenti in proposito.

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Posso occuparsi più brevemente dell'altra questione sollevata da Marc. Nel più recente dei suoi quattro post, contesta al documento di Euston questa espressione:

Se uno Stato viola atrocemente tale diritto all'esistenza, esso rinuncia automaticamente ad ogni pretesa di sovranita` su quella popolazione, e la comunita` internazionale ha il preciso dovere di intervenire e soccorrere


Marc intepreta questo come un obbligo di intervento senza pensiero per le conseguenze - compresa una guerra catastrofica (e presumibilmente nucleare) - in qualsiasi Paese in cui le violazioni dei diritti umani da parte dello stato siano 'atroci'. Due semplici osservazioni: (a) Il Manifesto e' un breve documento, che dichiara cio' che dichiara in forma sintetica. Piu' o meno tutto in esso necessita di essere specificato ulteriormente. In questo caso, vi e' bisogno di un insieme di criteri che spieghino esattamente cosa si intende per 'atrocemente' - le circostanze in cui interventi di questo genere sono giustificati e le circostanze in cui non lo sono. Non è ragionevole aspettarsi che un'opinione su una quesione complessa, espressa in poche righe, abbia la precisione ed il dettaglio di un documento legale. (b) A parte questo, Marc interpreta il termine 'dovere' nel senso de 'il dovere assoluto indipendentemente da ogni altra considerazione o conseguenza'. Ben pochi doveri sono tali in questo senso. Tutti hanno doveri filiali, ma mancare in qualche occasione di far visita alla propria madre per evitare di causare gravi problemi a se' o ad altri, non mostra certo l'assenza di doveri filiali, solo che tali doveri sono una fra molte considerazioni morali; è un obbligo immediatamente apparente ma non assoluto. Alla stessa maniera, la comunita' internazionale puo' avere il dovere immediatamente apparente di intervenire contro genocidi o altri casi di massicce violazioni dei diritti umani, senza che questo implichi che niente altro, neppure una catastrofe nucleare, abbia influenza sulla questione.

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Il demonio


Dice che la religione, se non ci fosse, bisognerebbe inventarla; sospetto che piu' ancora della religione in generale, gli esseri umani abbiano bisogno di inventarsi il demonio. Ne ho parlato piu' di una volta, del bisogno di trovare qualcuno a cui dare la colpa per tutto quello che succede - se possibile qualcuno che sia compatibile con la nostra visione del mondo.

Quando e' venuto fuori l'ambaradan del parlamento iraniano che voleva mettere la stella gialla agli ebrei, diversi blog hanno ripreso la notizia, anche alla luce dei commenti di Ahmadinejad sull'Olocausto. Una volta scoperta la bufala, giornali e blog hanno ovviamente (in massima parte) ritrattato e chiesto scusa, ma questo non era sufficiente: non poteva trattarsi di un errore dovuto alla cattiva interpretazione di quello che un dissidente iraniano aveva scritto, doveva essere, come mostrano benissimo i commenti al relativo post su Harry's Place, nonche' quelli alla ritrattazione, un complotto neocon che colpiva i nemici dell'imperialismo americano. Se qualcosa va male non puo' essere colpa di un errore, deve esserci una forza maligna ed identificabile in un gruppo ben definito, perche' dobbiamo avere qualcuno con cui prendercela. Non a caso, non c'e' niente di piu' frustrante che alzarsi dopo aver rovistato negli stipetti in basso della cucina e dare una craniata contro quelli in alto: con chi urli, con lo stipetto? (io lo faccio, ma e' un caso estremo).

Vabbe', dice qualcuno, la tesi imperante di questi tempi e' che il complottismo sia un male della sinistra: guarda Giulietto Chiesa, guarda Russo Spena che fa le interrogazioni parlamentari su uno che dice che mentre era in galera gli hanno messo un microchip in testa per mandare segnali al cervello e farlo impazzire, guarda il DS che crede alle storie di Nexus sulle scie chimiche.

Sara'. Pero', insomma, il complotto comunista internazionale dei media contro Berlusconi mica me lo sono inventato io. La storia che ho letto su qualche blog (non trovo il link: non credeteci se volete) che la faccenda delle stelle gialle l'avrebbe inventata a bella posta l'Iran per far fare brutta figura ai suoi critici, puzza mica da ridere di complotto in stile torri gemelle.

Senza contare la Michelle Malkin de noantri, l'ineffabile Stefania Lapenna, proprietaria di uno dei blog piu' brutti e confusi che questo autore di un blog brutto e confuso abbia mai visto, che riprende un post di Michelle Malkin, appunto, sulla strage di Haditha e su un errore del Times di Londra - errore peraltro riconosciuto e corretto immediatamente dal giornale.

Entrambe, la Malkin nel suo stile elegante anche se delirantemente paranoico, e la Lapenna nel suo stile delirantemente paranoico, si scagliano contro i "pregiudizi contro la guerra in Iraq" dell'unico giornale inglese di un certo spessore culturale che si sia schierato apertamente e dall'inizio a favore della guerra (ho detto "di un certo spessore culturale": il Telegraph non conta), specie la Malkin che poi passa ad accusare il proprietario del Times, Rupert Murdoch, proprietario di quell'altra specie di Telekabul in inglese che e' Fox News, di far parte del complotto liberal americano che sta cercando di minare alla base lo sforzo bellico in Iraq - e tutto questo perche' il Times ha pubblicato una foto dicendo che riprendeva le vittime del massacro di Haditha, mentre invece era una foto vecchia di un anno che riprendeva le vittime di un episodio di "resistenza". Mica le due pin-up neocon negano la strage di Haditha, eh: la "prova" del "complotto" sta solo nel fatto che la foto e' sbagliata. Viene da chiedersi cos'altro hanno in comune, tipo se la Lapenna sa fare pure lei il numero della pallina da ping-pong [*] anche se sospetto che orde di turisti stranieri in Sardegna sarebbero disposti a pagare un extra per non vederglielo fare.

Sulla querelle Malkin-Times c'e' un bell'articolo di Harry's Place, ancora, che traccia proprio il paragone fra le accuse che hanno subito loro di essere agenti d'influenza dell'imperialismo neocon e della propaganda americana, e le accuse al Times (ma dico io, al Times!) di essere un giornalaccio liberal parte del complotto comunista mondiale dei media - anche se, bisogna dire, la Malkin dal suo punto di vista ha ragione, visto che, come Littorio Feltri, considera "comunista" chiunque si ponga a sinistra di Gengis Khan.

Non e' questione di destra e sinistra, ed entro certi limiti non e' neanche questione di cultura o intelligenza cosi' come vengono comunemente definite. Il Grande Satana e' un bisogno di ognuno di noi, per spiegare guerre e ammazzamenti come anche stipi della cucina. Non c'e' niente da fare.

[*] Per chi si scandalizza sulla battuta disgustosamente maschilista e razzista su Michelle Malkin e la pallina da ping-pong: Ms Malkin ha scritto persino un libro in cui sostiene la giustezza del concetto di racial profiling, di attribuire comportamenti, attitudini e ideologie ad una categoria di persone in base alla loro appartenenza etnica (solo etnica, non culturale), e ha giustificato in questa maniera l'internamento in campi di concentramento dei cittadini americani di origine giapponese nel 1942. Io mi limito ad applicare la sua lezione, visto che Ms Malkin e' di origine thailandese.[**]
[**]Chi non ha capito affatto di cosa sto parlando dovrebbe guardarsi Ali G in da house e/o leggersi alcuni dei passi piu' gustosi di Mangosauce, tipo questo.[***]
[***]Se per caso una donna dovesse leggere questo blog e volesse darmi del porco maschilista, si metta in coda. Mia moglie lo fa dal lunedi' al giovedi', le sue amiche il venerdi' e il sabato, dovrei avere una mezz'oretta libera la domenica pomeriggio, possiamo prendere un appuntamento.

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