24 settembre 2010

Al Qaeda for dummies



Essendo questo il primo post dopo una lunga assenza, dovuta ad un eccesso di lavoro, ad un trasloco e ad un Internet provider che meriterebbe il ruolo di star in una produzione snuff-tentacle-hentai col Grande Cthulhu ((c) Leo Serni), pensavo di scrivere qualcosa che potesse fare da spunto sia a post successivi, sia magari ad una piccola discussione. Andiamo a incominciare.

A leggere i giornali, e a guardare i telegiornali, viene l'impressione che Al Qaeda sia una specie di Spectre/Smersh (a seconda che di 007 preferiate i film o i libri): monolitica, impenetrabile, onnipotente, cattivissima, organizzatissima, supertecnologica, in grado di dominare il mondo. Disgraziatamente, la realtà dei fatti non é così rosea.

Al Qaeda é, potremmo dire, la prima organizzazione terroristica (*) postindustriale, dotata di una struttura a tre livelli dei quali solo quello centrale é organico, ed il terzo é in massima parte in outsourcing. Potremmo dire che Al Qaeda é, in effetti, la Nike del terrorismo, o il primo gruppo terrorista della New Economy, o anche l'organizzazione terrorista con un MBA: una light company in piena regola.

Il primo strato di Al Qaeda é quello dei finanziatori. Ora, capiamoci, quando parlo di finanziatori non mi riferisco a qualche "grande vecchio" stramiliardario che usa Al Qaeda come una specie di giocattolo o esercito personale. I finanziatori di Al Qaeda sono di diversi tipi - consapevoli e inconsapevoli, consenzienti e forzati. Ci sono finanziatori consapevoli e consenzienti, in massima parte uomini d'affari sauditi, un po' per fede e un po' (un bel po') perché dopo ogni attentato il prezzo del petrolio sale, ma anche comuni cittadini che ritengono di compiere un'azione meritoria, e donano una quota fissa dei loro guadagni alla "causa". Ci sono finanziatori consapevoli ma niente affatto consenzienti - l'equivalente dei proprietari di pub e negozianti di Belfast, che hanno sempre donato liberamente parte degli incassi all'IRA perché l'alternativa era scegliere, altrettanto liberamente, di essere inchiodati al pavimento per le ginocchia: uomini d'affari, di nuovo in massima parte sauditi, a cui viene fatta un'offerta che non possono rifiutare. Poi c'é la massa dei finanziatori inconsapevoli, che donano quel poco che possono a questa o quella associazione caritatevole o a questa o quella moschea, e non sanno - ne sarebbero spesso orripilati - che quei soldi non vanno a ricostruire case distrutte dalle inondazioni in Pakistan, ma a comprare Semtex e RPG sul mercato nero.

Il livello intermedio di Al Qaeda é quello che potremmo chiamare di logistica, marketing e brand management. E' a questo livello che ci si riferisce (o ci si dovrebbe riferire) quando si parla di "Al Qaeda": gli Osama Bin Laden, gli Ayman Al-Zawahiri, appartengono a questo livello; i faccendieri che gestiscono le case sicure sulla "via del jihad" fra Karachi e Sangin appartengono a questo livello; gli avvocati e i commercialisti che ricevono i soldi dai finanziatori e li reinvestono in supermercati a Dubai, concessionarie Mercedes a Ryadh e fondi pensione a Londra e New York appartengono a questo livello; gli esperti formatisi in Cecenia e Bosnia e Afghanistan che decidono quali "operazioni di martirio" finanziare e facilitare appartengono a questo livello.

Infine abbiamo il livello che si potrebbe dispregiativamente (ed erroneamente) definire della "manovalanza": quelli che effettivamente organizzano gli attentati. Queste persone raramente "appartengono" ad Al Qaeda, non più di quanto l'operaio cinese pagato una ciotola di riso al giorno lavori direttamente per Nike. Sono a volte giovani nati in occidente, immigrati di seconda o terza generazione, radicalizzati per i più svariati motivi - disoccupazione, mancanza di valori di riferimento, astio verso una società che li emargina, ragazze che gliela davano all'università e gli facevano venire i sensi di colpa, ragazze che non gliela davano all'università e li frustravano - che finiscono nell'orbita di questo o quel reclutatore e attraverso una rete informale di contatti arrivano ad un campo di addestramento in Yemen, Somalia, Waziristan, gestito da Al Qaeda o attratto nella sua orbita con l'esca di finanziamenti e servizi logistici; altre volte sono giovani nati nelle stesse zone calde in cui AQ opera, educati in madrasse e selezionati, ancora, da attenti reclutatori che spesso ne hanno seguito i progressi per anni, addestrati e messi in viaggio sulla via del jihad verso la Cecenia o l'Afghanistan o, adesso, lo Yemen. Alla fine del percorso di addestramento, e a volte di un "turno di servizio" in una zona calda, concettualmente non dissimile da un tour of duty nell'US Army, spesso tornano a casa, contattano persone con idee non dissimili, formano un piccolo grppo e parlano, parlano, parlano. E ad un certo punto, un piano prende forma, e queste persone si rimettono in contatto con vecchie conoscenze, ed hanno la possibilità di presentare il piano ad un gruppo che lo valuterà. Difficile non notare la rassomiglianza con quello che succede in molte aziende moderne: una nuova idea viene presentata e valutata, un business plan redatto, i fondi (o i capitali di rischio) allocati e il progetto parte. Con AQ, se il progetto parte si apre il rubinetto dei fondi, che pagano addestramento per i componenti della cellula, equipaggiamento, logistica, case sicure, documenti di viaggio, qualunque cosa serva, nei limiti del possibile.

Il modello di produzione postindustriale ha assicurato a compagnie come Nike vantaggi essenziali: Nike non ha fabbriche, dunque non ha problemi di relazioni sindacali, di costo del lavoro, di reperimento di manodopera qualificata, di obsolescenza dei macchinari, di catena logistica dei materiali. Scarica tutti questi problemi su mr. Fong, proprietario di una fabbrichetta nello Szechuan: i metodi che poi mr. Fong usa per tenere in linea i suoi operai non sono un problema di Nike. Allo stesso modo, il terrorismo postindustriale di Al Qaeda presenta simili, innegabili vantaggi: la possibilità di finanziare più o meno a pioggia qualunque progetto terroristico che abbia anche solo remote probabilità di riuscita fa apparire Al Qaeda come un'organizzazione enorme, tentacolare, invincibile - cosa che fa non poca presa su quello che, per rimanere in tema, chiameremo il suo target di riferimento; ancora di più, essendo la stragrande maggioranza dei "terroristi di Al Qaeda" dei semplici contrattisti a breve termine, dunque inutili dal punto di vista dei servizi di sicurezza per risalire ai livelli più alti, Al Qaeda appare agli occhi dei più invulnerabile agli attacchi degli apparati di sicurezza: qualunque altra organizzazione criminale/terroristica così onnipresente, così tentacolare, diventa automaticamente un facile bersaglio per le forze dell'ordine, perche' all'aumentare degli anelli della catena aumentano le probabilità di trovarne uno debole; nel caso di Al Qaeda, gli anelli deboli sembrano staccarsi da sé dalla catena. Allah é invero grande, ed é evidentemente dalla parte di Al Qaeda: come si spiega altrimenti che gli infedeli non riescano a fermarla o a penetrarla nonostante si esponga tanto? Potente, tentacolare, onnipresente, eppure leggera, agile, flessibile, inafferrabile: un sogno bagnato per un marketer.

Una cosa da notare, incidentalmente, é che il paragone con Nike vale solo fino ad un certo punto: i tre livelli di Nike sono piramidali: un numero relativamente ridotto di produttori, che forniscono la merce che Nike vende; uno strato intermedio di marketer e brand manager (anche il design é in massima parte dato in outsourcing), ed una vastissima base di clienti che danno a Nike soldi in cambio del suo prodotto. La struttura di Al Qaeda é un po' il contrario, una piramide inversa: un vasto numero di "produttori", cellule terroristiche che, come i proprietari di fabbriche thailandesi, cinesi e malesi, competono fra di loro per offrire un prodotto - morte e distruzione - il più conveniente possibile; uno strato intermedio di marketers e brand managers - "ideologi" fa tanto ventesimo secolo - ed un numero relativamente ristretto di "clienti" che danno ad AQ soldi in cambio del suo prodotto di punta: il jihad.

Che lezioni si traggono da tutto questo?

Intanto, che l'approccio scelto dalla maggior parte dei governi occidentali nella loro "guerra al terrorismo" é del tutto fallimentare, in quanto si basa su due strategie egualmente inadatte ad affrontare una realtà postindustriale. La prima é colpire i produttori: gli esecutori materiali (o aspiranti tali) degli attentati. Data la struttura a piramide di AQ, in cui queste persone costituiscono la base, é nella migliore delle ipotesi una fatica da Sisifo, e visti i numeri in gioco, molto al di là delle risorse che i servizi di sicurezza possono concepibilmente mettere in campo. La seconda strategia, quella della "decapitazione", é altrettanto fallimentare. Arrestare o far fuori Osama Bin Laden o Ayman Al-Zawahiri non sarebbe molto più che un breve successo di immagine. Per citare qualche altro caso di azienda marketing-heavy, credete per caso che Apple chiuderà quando Steve Jobs se ne andrà in pensione? O, ancora, come si chiama il presidente di Nike? Il suo direttore del marketing? Quando é avvenuto l'ultimo avvicendamento al vertice di Adidas? Anche il fuggevole vantaggio di immagine derivante dall'uscita di scena di Osama Bin Laden verrebbe cancellato non appena AQ riuscisse a dimostrare di poter continuare ad operare esattamente come prima: il mito della sua invincibilità ne uscirebbe semmai rinforzato.

Guardiamo ai fatti: immaginiamo di essere una banda di cuministi no-global che vogliono a tutti i costi danneggiare Nike. Cosa colpiamo? Non possiamo colpire i suoi clienti, la base della piramide: sono troppi, e sono dappertutto. Non possiamo colpire i produttori: sono pochi e potenzialmente vulnerabili, ma sono in Cina e Thailandia. La polizia inglese scuote la testa con disapprovazione contro chi sfonda le vetrine di Starbucks; la polizia e l'esercito cinesi potrebbero optare per misure più robuste. Rimane il livello intermedio, il marketing, i flussi di denaro, l'immagine, il marchio: e lavoreremo per associare quel marchio con il lavoro minorile, rovesceremo secchi di sangue animale sull'ingresso di Nike Town, chiederemo leggi che alterino - in senso punitivo - lo status fiscale delle multinazionali, imporremo il rispetto delle norme internazionali anti-corruzione, e così via. Colpiremo l'immagine e i soldi dopo che hanno lasciato le tasche dei clienti e si sono incanalati in flussi che possiamo controllare.

Al Qaeda, ora. Facciamo un esperimento mentale: immaginate di avere una bomba atomica di ragguardevole potenza, una medicina che rimuove ogni scrupolo morale, e la possibilità di cancellare dalla faccia della Terra una città. Se quel che volete é fare il massimo danno possibile al terrorismo internazionale, che città colpite?

Teheran? Acqua

Qom? Ma per favore

Islamabad? Acquissima

La Mecca? Ma dai...

Riad? Acquetta

Dubai? Fuochino...

Niente da fare, non ci siamo. Oggi, il massimo danno al terrorismo internazionale potreste causarlo cancellando dalla faccia della Terra Londra e/o New York. Una struttura come Al Qaeda muove quantita' di denaro impressionanti, raccoglie flussi provenienti da uomini d'affari sauditi e moschee parigine, gioiellieri egiziani e pescivendoli di Tower Hamlets, li rimescola, li reinveste, li distribuisce in fondi d'investimento e in conti correnti aperti da prestanome in mezzo mondo; specula sulle azioni delle compagnie aeree il 10 settembre e sulla sterlina il 6 luglio, e reinveste i proventi in case sicure a Sanaa, in detonatori jamming-proof a Sangin e in sovvenzioni alle famiglie dei "martiri" nelle Filippine o in Indonesia. E lo fa a Londra e a New York grazie alla deregulation reaganiana, thatcheriana, clintoniana, blairiana - non ce n'é stato uno che abbia visto arrivare il problema, e i meccanismi di controllo che impediscono a broker di Parigi o Francoforte di riciclare e ridistribuire i soldi del fondamentalismo a Londra e New York semplicemente sono assenti. Non solo: nessuno vuole agitare la barca, perché se Al Qaeda se ne va, si porta il pallone e non si gioca più, ed é un pallone che, a seconda delle stime più o meno ottimistiche, vale da alcune centinaia di milioni ad alcuni miliardi di sterline: un'enorme torta che i politici non sarebbero tanto felici di perdere - e che metterebbe in difficoltà più di una brokerage house/banca/fondo d'investimento, motivo per cui la SEC e l'FBI, e qui il Serious Fraud Office, la City Police e l'MI5 si muovono con i piedi di piombo.

Adesso, per la verità, qualcosa qui comincia a muoversi, se non altro perché l'MI5 é tradizionalmente più indipendente - delle organizzazioni citate, ad esempio, é l'unico il cui direttore generale non é di nomina politica ma viene dai ranghi, ma il problema vero é che questo tipo di attività antiterrorismo non si presta a sensazionali titoli di giornali e telegiornali, non fa da spunto a film d'azione, e in generale non colpisce la fantasia della gente quanto l'arresto dell'ennesimo "numero 2 di Al Qaeda in Iraq/Afghanistan/Somalia/Yemen"; in altre parole, i fondi dedicati a queste attività sono una quantità irrisoria e sono regolarmente i primi ad essere tagliati quando c'é da fare una manovra economica per far vedere agli elettori che Stiamo Facendo Qualcosa: si risparmiano due soldi e non si tagliano le iniziative che, sebbene inutili, vanno al telegiornale a far vedere agli elettori che il livello di vigilanza é sempre elevato - tipo arrestare sei spazzini nordafricani perché qualcuno ha riferito alla polizia che discutevano a mensa di quanto gli fosse poco simpatico l'Inculabambini In Capo.

Insomma, al di là del fatto che (e non sapete quanto mi ripugni concordare con Mark Steyn) trovo idiota la definizione stessa di "guerra al terrorismo" - un po' come se nel 1941 Roosevelt dopo Pearl Harbour avesse dichiarato "guerra ai bombardamenti aeronavali", stiamo combattendo una guerra che non si può vincere perché stiamo mirando ai bersagli sbagliati. Siamo, insomma, in una situazione comparabile con quella degli inglesi nella Battaglia dell'Atlantico quando cercavano di affondare quanti più U-Boot possibile: ci vollero anni, e il quasi completo strangolamento economico dell'isola, prima che a qualcuno venisse in mente il semplice fatto che quello che gli interessava non era affondare U-Boot ma far arrivare navi mercantili in porto, e i due obiettivi non erano necessariamente coincidenti.

Mi chiedo quanti mercantili lasceremo affondare, stavolta, prima di renderci conto che la soddisfazione di aver affondato un altro U-Boot, alla fine, dura poco.

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(*) In questo post accetto senza discussioni, essenzialmente per pigrizia, la tradizionale definizione occidentale di "terrorista". Una lunga diatriba su chi sia il terrorista, chi sia il combattente per la libertà, se il fatto di scannare civili per la loro religione sia o meno un lecito atto di guerra (o se lo sia solo quando sono musulmani, o cristiani, o indù, o atei/laicisti che fanno piangere gesubbambino e padrepio), se un occidentale (o dall'altra parte una persona di pelle non-bianca) possa mai definirsi "vittima civile", e via argomentando, esula dagli scopi di questo post. Arbitrariamente, chiameremo "terrorista" chi colpisce più o meno indiscriminatamente civili con la precisa intenzione di colpire civili, e non chiameremo "terrorista" chi sgancia una bomba da 454 chilogrammi su un bersaglio, anche se dei civili (a cui, in generale, non stava mirando) rimangono sotto le macerie; mi rendo conto che la definizione é discutibile e presenta molte zone d'ombra, ma non me ne frega un cazzo. Il blog é mio e ci chiamo terrorista chi voglio.