14 febbraio 2011

Rose

Oggi, per motivi che sarebbe lungo spiegare, ho passato buona parte del pomeriggio, invece che a lavorare, a parlare con una ragazza di una ventina d'anni arrivata qui un paio di anni fa dal Waziristan.

Questa ragazza, che chiameremo per comodità S., aveva in Waziristan un problema non da poco: piano piano, crescendo, aveva scoperto che le piacevano le altre ragazze, e un giorno ha incontrato un'altra ragazza con gli stessi gusti e si sono date un bacetto. La madre della sua amica - perchè a quel punto quello era, ancora - le ha viste, ne ha parlato al marito, e pochi giorni dopo la sua amica era morta e S. era in un ospedale della Croce Rossa posto sotto assedio dai suoi parenti che chiedevano a gran voce che gliela restituissero per finire di lapidarla.

Complice un medico occidentale e colonialista, S. è stata contrabbandata su un aereo-ambulanza che l'ha depositata, a diciotto anni non ancora compiuti, al Royal Free Hospital qui a Londra.

S. non parlava inglese, era analfabeta, considerava una metropoli ogni agglomerato urbano con più di 1000 abitanti e aveva entrambe le gambe fratturate in tre o quattro punti. In sedia a rotelle prima, con le stampelle poi, e alla fine sulle sue gambe senza aiuto, ha frequentato un corso introduttivo di inglese non appena la sua richiesta di asilo è stata (miracolosamente) accolta, si è iscritta ad una scuola per adulti e nel frattempo ha avuto il tempo e la fortuna di innamorarsi della sua fisioterapista F. - anche lei, ironia della sorte, rifugiata, ma dall'Uganda, Paese molto più civilizzato del Pakistan in quanto gli omosessuali non vengono linciati su istigazione del Corano ma della Bibbia.

S. ha una vocina sottile ed acuta e non smette mai di parlare, forse per rifarsi di diciotto anni in cui veniva picchiata se parlava senza permesso. Parla di tutte le cose che lei e F. fanno assieme, non le pare vero di poterla tenere per mano mentre parla con me, mi racconta di come sono andate in un caffè a Islington e una signora che "oozed middle class", come dice F. con un mezzo sorriso, che trasudava borghesia, ha sorriso e ha detto loro che erano bellissime. S. porta sempre con sè, come se fosse il più prezioso dei trofei, il quaderno che usa a scuola, dove segna con estrema cura e grafia ancora incerta tutte le parole in inglese che sente per la prima volta, fra un esercizio di grammatica e un dettato. E mi racconta del cibo, dei cinema, della televisione, dei fiori che ha regalato a F. con i soldi del minuscolo sussidio che riceve come rifugiata.

Mi è venuto in mente un passo che il mio amico Claudio ha riportato, un brano meraviglioso di un fumetto e di un film che mi sono piaciuti poco (non perdono ad Alan Moore il tentativo di descrivere Guy Fawkes, che voleva portare l'Inquisizione in Inghilterra, in una luce positiva, e al film di contenere Natalie Portman, l'insetto stecco meno sexy nella storia dell'entomologia), quella frase dolcissima e struggente, "I had roses" - e mi sono reso conto che quello che S. continuava a ripetere non era altro che questo: I didn't know there was a place where I could have roses.

E ho pensato che se potessi scegliere una punizione esemplare per gli imam che vorrebbero la lapidazione per S., per i preti e i predicatori che qui e in USA appoggiano la legge ugandese che prevede l'esecuzione per il reato di omosessualità, per quelli che gridano allo scandalo se S. ed F. si sposano in una chiesa di un'altra religione - ecco, credo che li condannerei semplicemente a ricevere, e a leggere, una lettera ogni pochi mesi da S. con la descrizione delle piccole gioie quotidiane, della vita tutto sommato decente, dignitosa, degna di essere vissuta, che sta avendo grazie al fatto che la loro velenosa influenza non riesce a raggiungerla. Una lettera ogni pochi mesi con la descrizione delle sue rose.

E mi riservo la piccola gioia sadica dell'immaginare quei momenti, alle tre del mattino, quando il dubbio si insinua nella loro mente - il dubbio che non ci sia nulla, che le regole universali che invocano per mandare in merda la vita di tanta gente siano solo un'invenzione, che si siano bruciati l'esistenza nell'odio e nel rancore per nulla, che fosse solo tutta una scusa per potersi sentire superiori a qualcuno, per mascherare il proprio fallimento umano e morale, la propria abietta miseria spirituale. La consapevolezza che per loro non ci saranno rose, e che le rose sono tutto quel che avrebbero potuto avere.

09 febbraio 2011

Peracottari

Chiedo ai miei tre lettori: ma voi, che opinione avreste di un ospedale che ha, fra i suoi ginecologi, uno che fa conferenze e scrive libri sul cicognismo scientifico? Uno che spiega alle donne in gravidanza che tipo di cavoli devono coltivare se vogliono assicurarsi di trovarci sotto un figlio maschio?

Peracottari e truffatori - non ci sono altri modi per definirli: intendo i manager e direttori scientifici dell'ospedale, capiamoci.

L'università di Siena, mi dicono, ha in organico questo signore qui (intorno al min. 10), cattedratico (scusate se rido) di paleontologia. Evidentemente, l'università di Siena é un'università di peracottari e truffatori. Se posso darvi un consiglio, assicuratevi che il medico che vi ha in cura, l'ingegnere che vi progetta la casa, o lo specialista che volete assumere si sia laureato da qualche altra parte, dove i docenti sanno di cosa stanno parlando a lezione.