La corsa dei disperati
M vive in Italia, in una grande città del sud, ha quarant'anni, una bambina di due e un lavoro che odia. È laureata, anche abbastanza brillantemente, ma le sue non sono competenze facili da vendere ad un datore di lavoro. Adesso fa la telefonista in una ditta di spedizioni internazionali, a 800 Euro al mese da cui deve detrarre le spese per l'auto, perchè lavora in una di quelle aree industriali in cui il trasporto pubblico ha la stessa frequenza, capillarità e rischi delle diligenze del Far West. Suo marito, poi, lavora per una compagnia un po' curiosa, che lo paga più o meno quando il suo capo ne ha voglia.
M ogni tanto viene penalizzata per mancanze più o meno inventate: un giorno, dice il suo capo, è arrivata al lavoro con un quarto d'ora di ritardo - anche se il suo cartellino risulta timbrato con un ritardo di soli 5 minuti; il suo capo ha deciso di sanzionarla trattenendole cinque giorni di stipendio. M. rimane ogni anno con un bel po' di giorni di ferie non godute, perchè il suo capo non vede di buon occhio gli sfaticati che si prendono tutte le ferie dell'anno. M. va al lavoro anche ammalata, perchè (avete indovinato) il suo capo non vede di buon occhio gli sfaticati che se ne stanno a casa un intero giorno solo perchè hanno 39 di febbre.
Ma perchè, le chiediamo io e Mrs. Inminoranza, non ti iscrivi a un sindacato che ti protegga da questi soprusi? Lei spalanca gli occhi "Siete matti? Sarei licenziata in 10 minuti, e poi che faccio? Vado a chiedere l'elemosina con la bambina al collo?"
Pensavo a qualche post di Uriel sulla meritocrazia e il precariato, e a qualche discussione avuta in passato con Mrs. Inminoranza, e all'improvviso ho capito: i problemi del lavoro in Italia, il precariato, lo sfruttamento dei lavoratori, la corsa al ribasso degli imprenditori che cercano personale sempre meno qualificato da assumere per sempre meno soldi e a condizioni sempre più vessatorie - tutto questo è colpa di M.
No, sul serio. Cioè, non colpa sua direttamente, ma di quello che M rappresenta.
M, potendo, se ne starebbe a casa con la sua bambina. Magari 10-15 anni fa avrebbe voluto fare l'insegnante, ma quando si è laureata avevano già introdotto la SIS, col suo bravo numero chiuso e il mercato del bestiame dei baroni che si spartivano le ammissioni; magari sarebbe stata una brava insegnante, ma il professore con cui s'era laureata non "pesava" abbastanza da garantirle l'accesso alla Biblioteca Vaticana durante la tesi, figurati un posto alla SIS. Condannata a vita al precariato, ha trovato un lavoro sottopagato e sfruttato e se lo tiene stretto come se fosse il Santo Graal, perchè l'alternativa è la fame. Se il suo capo la licenziasse, e proponesse di riassumerla a metà dello stipendio di adesso, probabilmente accetterebbe: perchè, ancora, l'alternativa è la fame - e lo stesso vale per suo marito.
M e suo marito, e i milioni di disperati che accettano qualunque lavoro perchè l'alternativa è finire in mezzo a una strada, ottengono un importante risultato che rende il mercato del lavoro italiano quasi unico in occidente: abbassano quella che in inglese viene chiamata la baseline, la linea di base, il valore di soglia per considerare accettabile un lavoro.
Quello che nessuno sembra capire in Italia è che i lavori degradanti, sottopagati, precari, pericolosi (non so se abbiamo ancora il record, ma la lista dei morti italiani sul lavoro a volte sembra un bollettino di guerra) non se ne andranno finchè non si metterà la gente in condizione di considerarli inaccettabili. Se M non fosse messa di fronte all'alternativa fra gli abusi del suo capo e la miseria, potrebbe dirgli di infilarsi quel lavoro su per il tabarèn: avrebbe un potere negoziale che oggi non ha - perchè se lei se ne va, il suo capo ne trova mille disposti a lavorare al suo posto, magari anche a un centinaio di Euro di meno, mille disperati per cui 700 Euro al mese più gli abusi sono comunque meglio che zero Euro al mese e niente abusi. È una corsa dei disperati che soffoca qualunque aspirazione alla dignità del lavoro.
L'alternativa? A mio modesto parere, sono gli ammortizzatori sociali che in buona parte dell'Europa mantengono ad un livello di vita almeno dignitoso la popolazione disoccupata o inabile al lavoro. Un sussidio di disoccupazione, unito a benefit per la casa, assegni familiari, un programma decente di edilizia popolare, sono tutte cose che permetterebbero a M. di vivere dignitosamente senza dover sopportare umiliazioni quotidiane e occupandosi della sua bambina; allo stesso modo, permetterebbero a suo marito il minimo potere negoziale necessario per pretendere, almeno, di essere pagato ogni mese o - ancora - di starsene a casa sapendo che comunque potrà mettere insieme pranzo e cena.
Il problema dei lavori degradanti, del precariato, dello sfruttamento dei lavoratori in Italia dipende in buona parte da una baseline che non è un sussidio permanente ma la miseria - i sei mesi di sussidio di disoccupazione non cambiano massicciamente i termini del problema: alla fine dei sei mesi, devi accettare o un lavoro degradante o, ancora, la miseria.
Leviamoci di torno, intanto, le obiezioni ovvie. La prima è che in questa maniera tutti resterebbero a casa a non fare un tubo e a guardare repliche di telefilm degli anni '80 su Rete4. Personalmente non lo credo - la realtà è che questo non succede laddove questo sistema esiste, se non altro perchè la maggioranza delle persone semplicemente non riesce a non fare un tubo tutto il giorno, anche senza contare il desiderio, che la maggior parte di noi ha, di uno stile di vita al di sopra del livello di sussistenza. Ma la sussistenza, appunto, deve essere garantita a tutti.
La seconda classica obiezione è che è immorale che M se ne stia a casa tutto il giorno e guadagni uno stipendio senza aver fatto nulla, dopotutto, per meritarselo. Può essere - anzi, è sicuramente ingiusto che venga mantenuta dalle mie tasse semplicemente perchè non ha la preparazione giusta, o si è laureata in lingue piuttosto che in ingegneria, o magari semplicemente non ha voglia di fare un tubo. E però, allo stesso tempo, dobbiamo considerare che se non se ne sta a casa, M se ne andrà in giro a inflazionare il mercato del lavoro e a rendere appetibile il sistema da mercato degli schiavi che è il precariato italiano: dunque, alla lunga, se M se ne sta a casa io ci guadagno - ci guadagno potere contrattuale che viene cancellato nel momento in cui sono circondato di gente disposta a lavorare per metà del mio salario (certo, con metà delle qualifiche e delle competenze: ma stiamo parlando di un'imprenditoria, quella italiana, che è in massima parte incapace di capire la differenza, dal momento che il suo obiettivo è di competere con la produzione cinese o bulgara). Non è dunque questione di moralità o immoralità, di "scrocconi che è ingiusto che se ne stiano a casa", come tuona ogni due giorni il Daily Mail: è semplicemente questione di tenere chi non ha qualifiche e possibilità di competere in condizioni dignitose senza costringerlo ad abbassare per disperazione gli standard per tutti i lavoratori.
La terza obiezione, quella tombale, è che costa troppo. Personalmente non sono sicuro che sia un problema così insormontabile: dopotutto mi par di capire che l'economia italiana abbia superato per volume quella inglese, che questa spesa se la può permettere da sempre; e contemporaneamente, per esempio, l'UK spende di più in sanità (dati 1997, 5.8% del PIL contro il 5.3% italiano - da allora la spesa è cresciuta per entrambi ma sarei stupito se le proporzioni fossero cambiate massicciamente), in istruzione (5.9% del PIL contro il 4.9% dell Italia, 2002 - e ancora, da allora la spesa inglese per l'istruzione è aumentata, non so quella italiana) e in forze armate (2.4% contro 1.8%, dati 2005). Non so dove se ne vadano i soldi italiani, ma forse i tempi sono maturi per un minimo di riorganizzazione della spesa.
Quando una famiglia di due disoccupati con due bambini, al netto dell'affitto di casa, incamera qualcosa come 1000 sterline al mese (o 1000 Euro al mese, in Italia), magari non può permettersi di vivere a Milano o a Roma, ma sicuramente può permettersi una vita dignitosa in provincia e, quel che è più importante, quando il proprietario di un call-centre scopre che per la stragrande maggioranza dei suoi dipendenti improvvisamente la disoccupazione è diventata più dignitosa magari gli tocca cambiare le cose, forse assumere meno gente ma non più in condizioni di precariato profondo, pagarli dignitosamente, offrire loro delle garanzie e soprattutto non può più permettersi lo stillicidio di umiliazioni e piccoli, meschini soprusi che costituiscono la giornata lavorativa del disperato privo di alternative che non siano la fame.
E adesso spiegatemi perchè una cosa che persino la Thatcher non si poteva permettere di cancellare in Italia non si può applicare.