Wrong war. Wrong strategy. Wrong president. Just plain wrong.
Bell'articolo di Gary Younge sul Guardian di lunedi', in cui definisce la politica estera di Bush
a perverse version of carrot-and-stick diplomacy. Offer your adversary a carrot and then threaten to whack them with the stick while they are eating it.E piu' avanti, elencando i casi recenti in cui gli USA si sono ritrovati spiazzati dal risultato di elezioni democratiche (che spesso avevano cercato di impedire, come ad Haiti, o influenzare, come in tutto il Sudamerica):
una perversa versione della diplomazia del bastone e della carota, in cui offri al tuo avversario una carota, e poi minacci di stenderlo col bastone mentre se la mangia
The issue is not whether the developing world is ready for democracy - as the administration keeps arguing - but if the US is ready for the democratic choices made by the developing world.Vale decisamente la pena di leggerlo. Spiega alla perfezione il modo in cui gli USA hanno completato la transizione da leader of the free world di cinquant'anni fa a bully of the free world di oggi.
La questione non e' se il mondo in via di sviluppo sia pronto per la democrazia - come l'Amministrazione continua a sostenere - ma se gli USA siano pronti per le scelte democratiche del mondo in via di sviluppo
3 commenti:
Guarda, sono quasi completamente daccordo a meta' con te.
L'attuale amministrazione USA lascia a desiderare (cosi' come *qualunque* amministrazione nel mondo), ma lasciando stare improbabili rivoluzioni liberal-proletarie, qual'e' l'alternativa?
Un mondo multipolare in cui la potenza dominante e' la Cina? Oppure il Giappone? Il Regno Unito? La Francia (parbleu!)?
Naturalmente, ognuno e' libero di esprimere il proprio dissenso sulle scelte fatte dall'attuale amministrazione USA. Quello che contesto e' la mancanza dell'informazione di contesto - o peggio, argomentare come se il contesto non avesse alcun rilievo, ammiccando cosi' a tutti coloro che trovano buona parte delle loro ragioni d'essere nell'antiamericanismo. Non si tratta di una sottigliezza, la forma in questo caso e' sostanza.
Credo che le scelte strategiche dell'attuale amministrazione USA in materia di politica energetica (e' il settore di cui mi interesso, per cui mi limito a questo ambito) siano pervase da attitudini conservative (il contrario di risk-taking), e siano state influenzate da consolidati gruppi d'interesse in maniera molto piu' che sana. Il paradosso e' che alcuni tra i piu' fini e visionari pensatori ed ingegneri che attualmente evangelizzano governi ed organizzazioni multinazionali sono (surprise) americani. Per chi conosce l'inglese, ed ha tempo, consiglio di leggere 'Winning the oil endgame', un dettagliato studio (peer reviewed) co-finanziato dal pentagono e che traccia un cammino (forse anche troppo visionario) verso la fine della dipendenza dal petrolio - un obiettivo che finalmente (solo a parole) e' stato fatto proprio dall'attuale amministrazione USA. Il testo completo in formato PDF e' scaricabile gratuitamente da:
www.oilendgame.com
Devo concludere. Chi spera in cambiamenti radicali positivi, farebbe bene a guardare attentamente al fermento scientifico e culturale in atto in USA. In questo momento storico, il resto del mondo e' semplicemente indietro.
Yours
braemar
You make a compelling point - ma uno diverso da quello dell'articolo.
Sono, come al solito, "sostanzialmente d'accordo" con le tue affermazioni, ma rimane il fatto che in Iraq, e in generale in medio oriente, gli errori che stanno asfaltando la strada verso il baratro hanno superato di gran lunga, in numero e in entita', i crimini come l'appropriazione del petrolio e la violazione del diritto internazionale.
La "War on Terror" e' stata un'interminabile sequenza di errori politici ed in qualche caso militari: dall'alienazione completa dell'Iran, che nel 2001 era il Paese che da piu' tempo, e con migliori risultati, stava conducendo una guerra segreta contro Al Qaeda e i gruppi integralisti sunniti in Pakistan e Afghanistan, alla perdita di controllo del territorio prima in Iraq e poi, grottescamente, in Afghanistan, dove l'applicazione tardiva e raffazzonata, da parte del DoD, delle stesse teorie sulle light, agile forces che aveva gia' fallito in Iraq ha portato alla perdita di controllo di tutto il settore del Paese confinante col Waziristan e Beluchistan e all'inizio di quella che potrebbe essere un'altra guerra civile. Senza poi menzionare l'indecisione quasi criminale sui Mojaheddin-e-Khalq, prima appoggiati, poi "frozen", poi riappoggiati, poi dichiarati organizzazione terroristica ma senza dirlo agli inglesi, poi appoggiati di nuovo dopo aver comunicato agli inglesi che erano terroristi e bisgnava dargli la caccia...
E poi Guantanamo, ed ormai persino molti commentatori fra i piu' filoamericani sostengono che ha fatto piu' male che bene, le "extraordinary renditions", l'outsourcing della tortura, la dichiarazione, finalmente esplicita, che gli USA NON riconoscono diritti ai cittadini di Paesi stranieri, per quanto loro alleati, e si riservano il diritto di spiarli a tappeto, sequestrarli e in generale negare i loro diritti umani piu' basilari in base ad un semplice executive order presidenziale...
Non e' questione di antiamericanismo: il problema vero e' che gli USA stanno facendo ogni sforzo per rientrare nella loro stessa definizione di Rogue State; e, come dice la stessa dottrina Bush, quali che siano le ragioni di certe azioni e di certi comportamenti, un rogue state pone un pericolo reale ed imminente (ahem) ai cittadini del mondo libero con la sua stessa esistenza.
Personalmente, credo che riparare i danni che Bush ha causato all'immagine degli USA nel mondo sara' almeno altrettanto difficile, per la prossima amministrazione, che per Prodi riparare quelli causati da Berlusconi all'economia e all'ordinamento giuridico italiani. Ammesso che ci riescano, in ambo i casi.
A parte tutto questo, tu chiedi quale sia l'alternativa ad un mondo unipolare: io non lo so. Un ottimista ti risponderebbe che l'Europa potrebbe fare da contraltare, ma personalmente credo sia poco piu' che wishful thinking. Il fatto e' che gli USA sono in questo momento l'unico polo, ma stanno rendendo sempre piu' invitante per una vasta fetta della popolazione mondiale la prospettiva della creazione di un secondo polo, un QUALSIASI secondo polo - e quando crei questa necessita', prima o poi arriva qualcuno a soddisfarla; magari in maniera asimmetrica, non con un numero di divisioni corazzate e navi da guerra equivalente; magari non con un'economia ugualmente potente; ma per essere un polo alternativo, come ci ha insegnato l'URSS, non c'e' bisogno di niente del genere: basta la percezione della potenza nel campo opposto, e la capacita' rendere tropo costosa la propria distruzione. E cosi' all'impronta potrei citare almeno due o tre entita' che potrebbero, se gli USA continuano su questa strada, avere tutto l'interesse a presentarsi al mondo come polo alternativo.
We're in for interesting times.
Ehm, my apologies.
Nella foga, non ho esplicitato l'assunzione che fa da chiave di volta del mio argomentare.
"US foreign policy is *largely* driven by strategic considerations pertaining to US energy policy."
Naturalmente, saro' lieto di essere confutato. Egualmente, opinioni diverse e ragionate sono benvenute. A questo proposito ti ho forwardato materiale. Vedremo cosa sapranno fare i governi della EU di fronte alla pervasiva presenza governativa russa nel settore della produzione, trasporto e distribuzione di gas naturale.
Nello specifico della Orwelliana 'War on Terror' sono (surprise) 'sostanzialmente daccordo' con quanto esponi nel commento. Non sottoscrivo che gli USA siano (sul punto di diventare) un 'clear and present danger'.
Per fare un esempio, (ora non ricordo esattamente l'autore) ricordo di aver letto di uno studio economico che quantifica il beneficio goduto da tutto il mondo in virtu' della liberta' di trasportare merci sugli oceani - un diritto salvaguardato essenzialmente dalla US Navy. E' un tipico caso di 'freeriding' - beneficio quantificabile in qualche punto percentuale del prodotto interno lordo del mondo, e di cui (perlomeno da un punto di vista contabile) ne fanno le spese solo i contribuenti americani. Sarei molto interessato ad esaminare altri casi in cui l'operato di nazioni sovrane si traduce in benessere collettivo.
In a nutshell: better the devil you know.
Certo, se gli USA si avviassero concretamente verso la fine della dipendenza da petrolio, sarebbe un cambiamento epocale tra i piu' importanti della storia dell'umanita'.
Nel frattempo, nei cortili italiani si vaneggia di costruire nuove centrali nucleari - che hanno la stessa valenza del ponte che collega civitavecchia alla sardegna.
Il mondo e' bello perche' e' avariato - ma alcuni posti sono piu' avariati di altri, non credi?
yours
braemar
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