Qualche giorno fa ho rilanciato qui l'annuncio dell'Euston Manifesto. In qualcosa come due settimane si e' aperto un dibattito che ha catturato l'attenzione di molti, su blog, giornali e radio: "Euston Manifesto" e' stato per qualche tempo nella top 10 delle ricerche su Technorati, e anche il mio blog, nel suo piccolo, ha visto aumentare di parecchio gli hit grazie a gente che googlava quelle parole.
L'annuncio ha anche generato molte critiche, sia qui in UK sia, ho scoperto, in Italia. Alcune critiche sono strumentali e non meritano piu' che una menzione passeggera, tipo "Ha ha, XXX ha firmato, e' di destra, vuol dire che siete di destra", o il suo equivalente italiano, "Piacete al Foglio, quindi siete di destra". Chi si riduce a fare questo tipo di osservazioni, e interpreta la realta' con simili parametri, ha gia' una vita tristissima di suo, e mettercisi pure a discutere mi sembra crudele (ciao, Serg1, mi leggi ancora? Sono sorpreso).
A parte i casi patologici, comunque, esistono tre gruppi di critiche che vengono mosse al Manifesto di Euston: critiche sui contenuti, critiche sui fondamenti, e critiche dovute a malintesi.
Discutiamo prima dell'ultima categoria: l'Euston Manifesto e' stato definito il manifesto della sinistra "interventista" o "filoamericana", e in questo mi sembra ci sia un malinteso, che nasce in parte dal fatto che il New Statesman, fra i primi a parlarne, ha pensato di attribuire al gruppo le opinioni di Norman Geras, uno degli estensori. L'Euston Manifesto Group non e' filoamericano e non e' interventista: semplicemente, non pone come pregiudiziali per l'adesione l'essere contro l'intervento in Iraq o contro gli USA; riconosce che possono esistere, per quanto le si possa non condividere, motivazioni per l'intervento in Iraq. Un articolo in proposito l'ha scritto Alan Johnson, uno dei firmatari originali, contrario alla guerra, ed un altro viene da Shalom Lappin, entrambi ospitati su normblog. Parlare di "manifesto della sinistra interventista" e' sicuramente impreciso per quanto riguarda la guerra in Iraq; potrebbe essere appropriato, in senso generale, guardando al punto 10, laddove dice (cito dalla traduzione del Foglio):
Se minimamente uno stato protegge la vita quotidiana dei propri cittadini (senza torturare, uccidere o massacrare la popolazione, e soddisfacendone i bisogni essenziali per la sopravvivenza), allora la sua sovranità va rispettata. Ma quando uno stato viola atrocemente la vita quotidiana dei cittadini, ha rinunciato alla propria sovranità e la comunità internazionale ha il dovere di intervenire e prestare soccorso. Quando si arriva alla disumanità, vige il dovere di proteggerne le vittime.
il che giustificherebbe il concetto di intervento umanitario, che a quanto pare e' giustificato ed anzi auspicabile solo quando non viene messo in pratica (Darfur, Rwanda), ma inaccettabile e colonialista quando viene in effetti posto in essere (Bosnia, Kosovo, Somalia).
La seconda categoria di critiche comprende quelle che chiamo critiche sui fondamenti. Sono critiche rispettabilissime, lo dico immediatamente, anche se personalmente non le condivido, e mi concentro solo su quelle italiane, un po' perche' il dibattito in UK e' troppo vasto per darne un'idea qui, un po' perche' sono troppo pigro per mettermi a tradurre tutto quello che dovrei per dare un quadro decente della discussione. Cito ad esempio Kamau, in un articolo che vale la pena di leggere (cosi' come i commenti): la critica, qui, verte sulle premesse di base, ossia sul fatto che gli estensori del Manifesto hanno abbandonato il marxismo e la pratica rivoluzionaria, e considerano complessivamente accettabile il sistema politico-economico occidentale laddove si riesca a influenzarlo in senso socialdemocratico. La critica e' in larga parte comprensibile: l'Euston Manifesto e' molto vago sulle questioni economiche, e quel poco che dice va nella direzione di un capitalismo dal volto umano, sulla modifica normativa delle istituzioni esistenti piuttosto che sul loro rovesciamento o sulla loro eliminazione; chi ritiene la pratica rivoluzionaria, oggi, la via da seguire per l'Occidente, chi ritiene che la globalizzazione possa/debba essere fermata, chi ritiene che cambiare le regole e la cultura non sia che un'operazione cosmetica, non puo' in alcun modo sottoscrivere il Manifesto. Fin qui, tutti d'accordo; l'unico problema che ho e' con l'idea che per cio' stesso chi si riconosce nell'Euston Manifesto non sia di sinistra: che la sinistra si debba identificare strettamente ed esclusivamente con la critica radicale/marxista e con la pratica rivoluzionaria a breve o lungo termine. Questo, semplicemente, non e' mai stato vero, neanche durante la breve egemonia del comunismo messianico di stretta osservanza sovietica; la storia della sinistra europea e' una storia ricca e complessa, di cui Marx e la pratica rivoluzionaria sono parti importanti, fondamentali, ma sicuramente non uniche. Purtroppo, la storia della sinistra europea e' anche la storia di un sacco di gente che passava il proprio tempo a conferire patenti di ortodossia e a comminare scomuniche, e molte delle critiche all'Euston Manifesto risentono esattamente di questa abitudine - se fossimo in Brian di Nazareth, mi aspetterei da un momento all'altro un gruppo di blogger che mi gridano "Parolaio!" quando gli passo davanti.
Ragazzi, rassegnatevi: esiste anche una sinistra che non ritiene fattibile - e probabilmente neanche auspicabile - una rivoluzione proletaria in Europa, e che la globalizzazione economica sia un fatto che non siamo in grado di fermare, quand'anche lo volessimo, ed e' il caso di cercare di pilotarla in una direzione che sia eticamente accettabile. C'e' chi ritiene che Seattle e Genova siano la strada da seguire; c'e' chi ritiene che la strada da seguire sia quella della cancellazione del debito, che, con buona pace di Casarini & co., non e' stata ottenuta "violando la zona rossa"; credo che faremmo un gran bene evitando di perder tempo a scomunicarci a vicenda.
La terza categoria di critiche e' quella delle critiche sui contenuti. Si tratta di critiche all'incompletezza del documento e alla definizione delle proprie posizioni, piu' che in conseguenza di un'analisi e di una riflessione, in base ad una contrapposizione critica con le posizioni di molta parte della sinistra europea; peggio, al fatto che il documento cerchi esplicitamente la contrapposizione e la critica con la sinistra "dura e pura" contraria alla guerra e alla svolta neoliberista di Blair.
Anche qui credo che buona parte delle critiche derivino da un malinteso di fondo. L'Euston Manifesto non e', e non vuole essere, un programma politico completo o un manifesto elettorale: e' un work in progress, e soprattutto e' inteso un po' come un sasso nello stagno ed un po' come un punto di aggregazione. E' vero, mancano le analisi economiche, mancano osservazioni sulle politiche di Blair, sull'Unione Europea, manca la critica radicale del sistema capitalista, manca un po' di tutto: perche' l'intenzione non era di fondare un partito, ma di mettere in evidenza certi punti, di richiamare l'attenzione su certi temi, e di ribadire che per alcuni, a sinistra, certi principi costituiscono ancora una discriminante forte; di contarsi, se vogliamo, di mandare un segnale ai partiti e ai movimenti esistenti, di dare voce ad una parte della sinistra che non ha visibilita', sommersa da associazioni per il disarmo nucleare che difendono il diritto dell'Iran all'atomica, da femministe che considerano il niqab "liberatorio", da paladini dei diritti umani che difendono la pena di morte a Cuba. Le critiche di incompletezza al Manifesto derivano dal considerarlo qualcosa che non e', dall'attribuirgli ambizioni che non ha.
E' vero, poi, che chi si riconosce nel Manifesto definisce la propria posizione in gran parte nella contrapposizione con certe idee di certa sinistra; ma d'altra parte non potrebbe essere altrimenti: chi si riconosce negli ideali di sinistra ma non nei fischi alla Brigata Ebraica il 25 Aprile, chi ritiene che la discriminante per distinguere amici e nemici sia la democrazia e non l'opposizione all'Occidente, si ritrova oggi ad avere ben strani compagni di strada; e se Berlusconi e Fini, o Cameron e Griffin, sono il nemico, la minaccia maggiore in questo momento viene dai George Galloway e Miguel Martinez di questo mondo, dai "cretini pagati da Calderoli" che pero' ai cortei sono sempre i benvenuti: perche' sono loro che stanno snaturando la sinistra, e la sinistra, vi piaccia o no, e' anche casa mia, e se la riducete ad un porcile io non ho piu' un posto dove stare, e questa, se vogliamo, e' una minaccia ben maggiore che avere contro uno come il nano pelato, perche' mina alla base la mia identita' politica e il mio senso di appartenenza.
Per cui si', e' vero, l'Euston Manifesto si definisce anche in base alla contrapposizione con un'altra parte della sinistra, ma lo fa solo perche' oggi, nel 2006, ci ritroviamo costretti a ribadire come se fossero affermazioni rivoluzionarie che picchiare una donna se parla senza permesso e' un crimine indipendentemente dalla religione di chi la picchia; che lo Stato deve essere laico senza compromessi, perche' e' l'unico modo per assicurare liberta' di religione per tutti; che la liberta' di religione non comporta l'esenzione da critiche; che le dittature sono male e la democrazia e' bene; che l'antisemitismo e' una forma di razzismo e come tale e' inaccettabile comunque. Se queste affermazioni sono, oggi, cosi' forti da determinare un contrasto con una parte della sinistra, a mio modestissimo parere il problema non e' dell'Euston Manifesto.
UPDATE: Ipazia scrive meglio di me - caso mai ci fossero dubbi.