Il kamikaze della porta accanto
Erano inglesi. Di Leeds. Di origine pakistana, si', ma inglesi, appassionati di calcio e di cricket, nati qui, cresciuti qui, educati qui, emarginati qui, irretiti qui da qualche predicatore fondamentalista, mentre la polizia inglese spendeva milioni di sterline per proteggere uno come Abu Hamza quando predicava per strada. Proteggerlo da cosa? Da frotte di musulmani che volevano dirgli dove si poteva mettere l'uncino, l'occhio di vetro e l'esortazione alla guerra santa.
Il nemico e' fra noi, e' vero: ma non e' il ragazzo di 19 anni che si fa saltare in aria nella metropolitana. Il nemico e' l'emarginazione di quel ragazzo. Il nemico e' la nostra indiferenza ai segnali d'allarme - perche' 4 anni fa dei ragazzi di Luton sono stati reclutati e mandati a farsi ammazzare in Afghanistan, e il padre di uno di loro ha chiesto, ha implorato il governo inglese di fermare chi aveva mandato suo figlio a morire, e quella gente e' ancora li' a Luton, fa proseliti e predica la guerra santa nei locali del community centre, perche' prendere provvedimenti avrebbe potuto essere considerato offensivo nei confronti della comunita' musulmana.
Quali che siano i rischi per il futuro, quali che siano i provvedimenti che verranno presi, rimane il fatto che quei ragazzi si sono suicidati per nulla - non solo non hanno terrorizzato Londra (non nel senso in cui un terrorista lo intende, almeno), ma c'e' il caso che non siano riusciti neanche a instillare nelle nostre teste la paranoia nei confronti della comunita' musulmana: siamo, si direbbe, abbastanza maturi da aver capito di chi e' la colpa. Mi spiace - mi spiace sinceramente - per il loro sacrificio, ancora di piu' mi spiace che il coraggio che hanno mostrato nell'uccidersi per una causa in cui credevano sia stato cosi' disastrosamente sprecato.
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